Intervista: BENEDETTA RAINA – I miei frammenti
Di solito si capisce l’adolescenza soltanto molti anni dopo che si è vissuta, non certo durante. Benedetta Raina, 19 anni, vede già quello che molti dei suoi coetanei non intravedono neppure. Partendo dai “Frammenti” che compongono la sua vita, e che danno il nome al suo primo EP.
Benedetta Raina è giovane, schietta, con le idee chiarissime. Le ha da quando ha deciso che la musica sarebbe stata la sua vita. In “Frammenti” raccoglie i mille pezzi di un vetro che si è rotto, “imperfetti, non bellissimi da guardare, ma sinceri”. Come un’amicizia che finisce, quella che racconta nell’ultimo singolo “Stata mai”
“Frammenti” è il tuo primissimo EP, uscito in un periodo in cui tutti quanti ci sentiamo un po’ frammentati. Com’è cambiata la vita in questi ultimi mesi per te?
E’ cambiata molto. Ho iniziato ad attribuire un valore molto più grande alle cose che fino a poco fa davo per scontate. Il mio lockdown è stato così: smettere di considerare ovvi quei momenti che, essendo parte della quotidianità, ci apparivano sicuri e stabili. Abbiamo visto che possono cadere giù in un attimo, per questo ho imparato che bisogna goderseli.
Quali sono state le tue sensazioni prima e dopo l’uscita di “Frammenti”?
C’è stato tantissimo lavoro. Essendo il mio primo grande progetto ci ho messo dentro tutta me stessa. È una raccolta degli ultimi anni della mia vita, della mia adolescenza: dentro c’è tutto quello che sono. C’era molta attesa, anche tanta aspettativa e devo dire che sta andando abbastanza bene. Certo, i numeri non sono altissimi ma sono ancora un’artista alle prime armi. Ci vorrà ancora del tempo ma lo accetto e va bene così.
Ci racconti cosa c’è dentro il tuo EP?
Penso a “Frammenti” come ad una serie di scatti rubati, piccole parti della mia adolescenza in cui magari, spero, si ritroverà chi lo ascolta. È questo del resto il motivo principale per cui faccio musica, partendo ovviamente da me, perché scrivo in modo autobiografico. Mi sono immaginata come un vetro che cade e si frammenta in tanti pezzi. Ognuno di questi pezzi è appuntito, imperfetto, non bellissimo da guardare, però è sincero. L’adolescenza è così, fatta di tante versioni di noi stessi che magari crescendo e guardandoci indietro finiamo col ripudiare. Non è sempre un momento idilliaco, non sono per forza i migliori anni della vita come si dice, ma è un periodo pieno di insicurezze e incertezze, tormentato, magari vissuto non come volevamo davvero. Però si tratta delle nostre prime volte, di momenti che non torneranno mai più così forti.
Com’è iniziato il tuo percorso di avvicinamento alla musica?
Da ascoltatrice. Amo ascoltare musica, sono una fan sfegatata di fin troppi artisti. Avendo anche una certa passione per la scrittura ho sentito l’esigenza di unirmi alla musica il più possibile. Così ho imparato a suonare la tastiera e ho cominciato a scrivere le prime canzoni. Il percorso da artista più “ufficiale”, diciamo così, è partito quando ho conosciuto i ragazzi di Noize Hills Records in sala prove, quando suonavo con la mia prima band. Con loro è nato un bellissimo rapporto di amicizia, sono diventati quasi una famiglia. E così nel 2019 è uscito “Basta”, il mio primo singolo.
Sei giovanissima. Come vedi il tuo futuro da qui a qualche anno? Hai le idee chiare?
Dopo l’emergenza Covid mi sembra tutto messo in discussione, soprattutto il futuro di chi lavora nello spettacolo che è ancora più precario di prima. Ovviamente non dipendo ancora economicamente da questa attività, ma spero di poterlo fare in futuro. E’ tutto quello che voglio: mi vedo come una persona che può vivere di musica. Non desidero grandissimi numeri, solo cantare. E poi il mio sogno è fare un concept album, come quelli con cui sono cresciuta.
Chi sono i musicisti che ti ispirano e che ti piacciono?
Potrei parlarne per ore, ma una band che mi ha segnato in maniera speciale sono i Twenty One Pilots. Grazie a loro ho preso in mano lo strumento che uso di più per scrivere le canzoni, l’ukulele. Devo tanto a Tyler Joseph, il cantante della band.
Hai cominciato componendo in inglese, ma il tuo EP è in italiano. C’è una ragione per cui hai deciso di cambiare lingua o è stato un processo naturale?
Entrambi. Un po’ per convenienza, lo ammetto, perché in Italia farsi strada con l’inglese è più difficile, meglio arrivarci per step. E poi per passione, perché da un paio di anni ho iniziato ad ascoltare la musica italiana. Menomale che l’ho fatto perché ho scoperto un mondo che prima ignoravo, e che facevo male a non conoscere: quello dell’indie e dei suoi sottogeneri. Non rispetta le convenzioni tipiche dell’indie internazionale ma ha una sua identità perché si rifà al cantautorato classico italiano.
Tu hai 19 anni, sei ad un passo dalla maturità, quindi sei una dei tanti ragazzi costretti a sperimentare una nuova modalità di fare l’esame. Come va?
Non c’è ancora molta chiarezza, noi ragazzi non ci stiamo capendo granchè. Se devo essere onesta, non mi piace come è stata gestita la cosa, la didattica a distanza non funziona assolutamente e secondo me bisognerebbe intervenire. E’ una situazione molto strana per tutti.
“Basta” è il singolo che ha anticipato l’uscita dell’EP. A cosa dici basta?
Nella canzone dico basta al Liceo Scientifico, la scuola che frequentavo prima di passare all’Artistico. Per me era un ambiente totalmente tossico. In generale dico basta a chi ci dice cosa dobbiamo fare e non ci permette di esprimerci a pieno.
“Stata mai”, il tuo ultimo singolo, è una specie di lettera indirizzata ad una persona che era speciale, ma non si tratta di amore, bensì di un’amicizia… hai vissuto sulla tua pelle questa esperienza?
E’ un appello a me stessa per convincermi che l’amicizia di cui parlo non c’è “stata mai”. Parlo infatti di un’esperienza personale. Più l’amicizia è superficiale, meno ci si rende conto che qualcosa non va, più ci esaspera, più il rapporto diventa tossico. Si dice “Dimmi con chi esci e ti dirò chi sei”, e io non volevo essere come quella persona
E tu che amica sei? Cosa cerchi nell’amicizia?
Complicità. Non voglio un rapporto basato sul raccontarsi tutto e sempre. Sicuramente bisogna parlare, ci si deve supportare, ma senza diventare psicologi. Cerco la comprensione con uno sguardo, senza avere bisogno di dire qualcosa a tutti a costi.
In “Mi sveglio col caffè” ti rivolgi a qualcuno. A chi?
Mi rivolgo a mia mamma. Lei è una persona molto forte, non si lascia abbattere da niente e per questo l’ammiro molto. Però non sono come lei, ho un carattere più sensibile. Per questo nella canzone le dico che sono più fragile e non riesco ad affrontare le situazioni al suo stesso modo. Non è stato semplice farlo, è dura ammettere le proprie debolezze. A volte è più difficile che nasconderle.
“Piovono confetti dal cielo li prendo come viene” canti in “Davvero”. Sei una che prende le cose come vengono senza pensarci o troppo o preferisci che non ci siano imprevisti e che sia tutto programmato e prevedibile?
Sono assolutamente pessimista e non riesco mai a prendere la vita alla giornata. Infatti la canzone è ironica, è un promemoria a me stessa in cui mi dico basta, fregatene un po’ di più, lascia stare. La verità della canzone sta nelle strofe in cui faccio un elenco di cose, anche stupide, che rovinano l’umore. Magari proprio nella giornata migliore della nostra vita!
“Oscurità che brilla, la guardo e mi somiglia”. Sei una persona che tende ad essere cupa?
Sono una persona molto riflessiva e nostalgica. Come dico nella canzone, “Oscurità che brilla”, credo che questi aspetti non siano negativi, ma che possano aprire prospettive che magari ad altri sfuggono.
IG: @benedettaraina