Intervista: FEDERICO FABI Nel mio Parka mi sento a casa
Senso dello stile: c’è. Senso dello humor: pure. Talento musicale: tantissimo. Federico Fabi lancia il singolo “Parka”, di cui firma anche il videoclip. Una finestra in bianco e nero sulla bellezza della normalità, perchè trovare la pace è roba rock ‘n roll.
Sei tornato dopo 2 anni di pausa dall’uscita del tuo EP “Io e me x sempre”. Cos’hai fatto nel frattempo e quanto sei cresciuto, se sei cresciuto?
Ho lavorato sulla mia persona. Ho cercato di fare un lavoro di pulizia provando ad eliminare gli elementi nocivi per la mia anima. Ho sconfitto le mie ossessioni, ho superato i miei limiti, ho aperto la mente a nuove possibilità e devo dire che ora sto molto meglio. Tutto ciò ovviamente si ripercuote sulla mia musica, e vedrete che nei prossimi lavori questa crescita sarà evidente.
Per il clip del tuo ultimo singolo “Parka” hai curato tutto: dalla regia alla direzione della fotografia, fino allo styling. E’ la prima volta che ti cimenti con i video?
No, i video che sono usciti fin’ora sono sempre stati curati da me. Essendo laureato in grafica e avendo una simpatica passione per la fotografia, il mio occhio nel tempo si è allenato a lavorare con certi criteri e in certe situazioni. In più non avendo grandi disponibilità economiche, essere il direttore di me stesso rende tutto più semplice e accessibile.
C’è un motivo particolare per cui hai scelto il bianco & nero?
Sì, per due motivi: il primo è perché la canzone parla di contrasti e il bianco e nero aiuta ad evidenziarli; il secondo è perché l’architettura di Spinaceto, il quartiere in cui è girato il video, ha un’estetica alienante. Ispirandomi ad Antonioni nella “Trilogia dell’Esistenza”, ho pensato che il bianco e nero rendesse meglio l’idea e facesse arrivare quella sensazione di alienazione allo spettatore.
In Parka dici che “Basterebbe un po’ d’equilibrio”: ma esiste davvero, o è solo una vana idea difficile da raggiungere? In fondo l’inquietudine genera movimenti e cambiamenti…
Esiste, ma è qualcosa che viene e che va. E’ impossibile trovarsi costantemente in uno stato di equilibrio. E poi è bello il giochetto di cadere, rialzarsi, stabilizzarsi e cadere di nuovo. E’ questo il divertimento, ciò che mette in moto le mie canzoni.
Tu sei vicino ad una parvenza di equilibrio?
Ieri no, oggi si, domani forse.
A cosa pensi quando scrivi? Cosa fa scattare la molla?
A qualunque cosa, sono uno sciacallo. Spesso sono uscito la sera solo per rubare qualche storia, qualche emozione da mettere nel brodo. Quando qualcuno parla mi annoto una frase, poi torno a casa e provo a scriverci una storia. Quindi state attenti a quel che dite, magari vi ritrovate in qualche mio pezzo.
Nel video di “Parka” mi piacciono molto la scene della partita di pallone sui tetti, la riappacificazione dopo la rissa, la birra e le sigarette. Cose “normali”, che oggi però sono sempre più rare…e strane. Perché le persone oggi hanno così paura della normalità e cercano sempre quel “qualcosa” di più, secondo te?
Perché ci è sempre stato dato tutto. Siamo una generazione viziata e annoiata. Abbiamo l’ossessivo bisogno di vincere sulla mondanità e non ci accorgiamo delle piccole cose. Riscoprire e dedicarsi alle semplici cose della vita è un lavoro che richiede una certa maturità. Trovare pace è la cosa più rock ‘n roll che si possa fare.
Sia dal video, che dal tuo account Instagram, emerge un certo senso dello stile. Ti piace la moda? La segui, ci stai attento?
In un certo senso. Ho sempre avuto il mio stile. Pensa che alle elementari giravo per scuola con la scoppoletta. Oppure in primo liceo, quando indossai per la prima volta i Ray Ban Wayfarer che erano appena ricicciati sul mercato, mi guardarono tutti male: eppure erano e rimangono un classicone. Quello che dico è che non mi diverto ad anticipare la moda, ho solo il gusto per il classico. Il mocassino Timberland, il trench Burberry, la polo Fred Perry, la giacca a vento Henry Lloyd sono tutti must che devo assolutamente avere nell’armadio. Poi andare a Porta Portese e trovare il windbreaker di Versace a tre euro o la polo originale Guccio Gucci a dieci mi stimola quasi l’orgasmo. E’ evidente che mi piace, e che lo stile dice molto di una persona. Poi il gusto è un altra cosa, ce l’hai o non ce l’hai. E io ce l’ho.
E qui veniamo al parka…perché il tuo pezzo si chiama così?
Perché è il giubbotto che indosso più spesso, perché è simbolo di generazioni da circa sessant’anni, perché è il posto dove mi sento più al sicuro quando esco di casa.
Come mai la scelta di adoperare solo mezzi analogici per registrare?
Perché il mio orecchio sanguina quando sento una drum machine in un pezzo cantautorale. A volte più che una scelta stilistica mi sembra una mancanza di mezzi, o di tecnica. Ogni cosa va dosata e in questi ultimi anni la maggior parte dei pezzi che ho ascoltato, magari dei semplicissimi pezzi pop, avevano una tutti una base artificiale tra sinth e drum machine. Ciò che vorrei dire è che non è obbligatorio, anzi: io a costo di non farlo ho preferito registrare otto pezzi voce e chitarra. Poi quando senti una bella batteria vera, il suono del piano o della chitarra registrata al mic è tutta un’altra musica.
Che progetti hai in cantiere nel breve periodo?
A breve rientro in studio per registrare i pezzi che mancano. Usciranno altri due singoli, e l’EP tra aprile e maggio.
Sanremo è alle porte: hai dato un’occhiata a big e giovani in gara? Che ne pensi?
Che manca Amedeo Minghi, non me lo dovevano fare.
https://youtu.be/Kn84jGC2Rwg