Intervista – ALESSIO BERNABEI: Mi sono riappropriato della mia voce

Intervista – ALESSIO BERNABEI: Mi sono riappropriato della mia voce

“EVEREST” è il titolo del suo nuovo singolo. Un titolo che cela molto di più.

Alessio Bernabei ha avuto una carriera degna delle più alte montagne russe. Vortici e salite poi picchi profondissimo. Quando ciò accade, quello che rimane a un uomo, prima che ad un artista, sono due strade: il vittimismo o la presa di coscienza. Alessio ha intrapreso il secondo percorso e quello che mi sono trovata dall’altra parte del telefono è un uomo diverso dal ragazzino che avevo intervistato l’ultima volta. Un uomo, dicevo, lucido, profondamente umile e autocritico nel riprendere in mano i pezzi della sua carriera musicale. Arrabbiato più con sé stesso per quello che è stato e con la gran voglia di raccontarsi, proprio attraverso quella voce che prima ha sempre addomesticato a favore di flash.

Lascia stare il passato, le lacrime che hai perso…Quante lacrime hai perso?

Parecchie. Ci sono stati momenti di down in questi anni. Io diciamo che mi volgo a una persona con un passato duro che ha perso tantissime lacrime.

 

Facciamo un recap di quello che è il tuo percorso musicale. Picchi ma anche discese profonde. Cosa è avvenuto e cosa hai imparato?

Sono partito a ventun’ anni affacciandomi ad un mondo a me sconosciuto. Finito Amici mi sono ritrovato ad aprire due concerti allo stadio Olimpico e San Siro. Una popolarità assurda per uno che arrivava dalla cameretta di casa sua, quando uscivo di casa, dopo un anno, c’erano parecchi fan ed eri diventato un teen-idol. Era figa perché alimentava l’ego e ti portava in un mondo di illusioni fatto di moda, di trend, ma di base non c’era nulla. Con la band è finita, costretti a convivere tanto insieme, ognuno i suoi difetti, a una certa non ci sopportavamo più. Penso che molto sia stato correlato anche  alla tensione intorno. Mi sono svegliato una mattina e ho sentito la sensazione di non voler più suonare con loro. Mi sono chiesto che problema fosse, come mai. Ne ho parlato con loro e l’unica soluzione era che io intraprendessi una carriera da solista. Si sono sentiti anche un po’ sollevati, perché la mia presenza era diventata pesante lì dentro. Avevo delle esigenze che gli altri non volevano o forse non capivano e con questo ho fatto anche i conti perché poi, forse, volevo un mio spazio dove decidere il colore del vestito da indossare, la cover da interpretare, il brano da cantare, l’assolo. Era un’esigenza di pensare al mio percorso da solista.

 

E’ il problema di quelle band costruite per un progetto, mi viene da pensare. Penso che una band sia tale se gli elementi che la compongono vivono la dimensione di band, nascendoci con un rapporto interscambiabile tra di loro.

Quella è la chiave della band solida. Diventi una società dove ogni elemento che la compone diventa una parte solida, noi non eravamo quello. Io per loro ero il cantante che voleva oscularli, loro per me erano dei musicisti che volevano fare un assolo per mostrarsi. Questo non succede in una band dove stai insieme da quindici anni, dove veramente sei un fratello perché lo senti, lo vivi così e non perché ti dicono altri di dirlo. Capisci ognuno il ruolo che ha grazie anche all’esperienza. Noi non avevamo neanche un anno di vita, creati per un contesto che era veramente televisivo, non in garage e sala prove. Non siamo stati creati ad hoc, perché noi davvero volevamo farlo, ma eravamo forse più un fake.

Fai anche un Sanremo come solista.

Una volta che mi sono staccato dalla band, ho firmato con Warner sono andato a Sanremo nel 2016 come solista con “Noi siamo infinito” trovando anche i ragazzi in gara. Pensa che quel brano, l’avevo anche proposto a loro perché volevo farlo con loro, quando ci siamo lasciati, mi sono tenuto il brano. Per la moda del momento era figa.

Torni con un progetto diverso. Chi sei tu ora musicalmente e come persona?

Mi sono accorto in quegli anni dove cavalcavamo l’onda, i Festival, che era tutto plastica. Mi sentivo un ragazzo di plastica, mi stavo sul cazzo anche guardandomi allo specchio. Non mi piacevano i vestiti che indossavo, mi etichettavano in un modo in cui io stesso non mi sentivo. Non avevo più fame di scrivere, non avevo più voglia di mettere le emozioni in musica come facevo in cameretta. Ero un cantante per gli altri ma non mi sentivo un cantante io. Mi sentivo un attore che andava in giro

Ci vuole coraggio di ammetterselo, ce ne sono tanti di attori musicali.

Tanto le persone se ne accorgono. La fan che c’è sempre da quando cantavo con i Dear Jack, lo capisce. Non arrivi a livello emotivo. A quasi trent’anni mi sono detto che era questo il momento di prendersi delle responsabilità. Ho ancora fame di mettere in musica ciò che sento e vivo come quando avevo vent’anni.

Come ti vedi tra dieci anni?

Io tra dieci anni spero di riuscire a fare arrivare la mia musica a più orecchie possibile perché l’hype comunque si è abbassato e le casse di risonanza sono diminuite, per come è adesso la situazione.

Però la critica ti ha ben accolto per questo ritorno.

Sì, vorrei far conoscere ciò che sono. Per anni, non mi hanno permesso di dire alcune cose e anche io per imbarazzo non ne parlavo. Adesso, forse è meglio che chiunque mi conosca per quello che sono. La giostra può finire e non voglio avere rimpianti. Ho voluto uscire allo scoperto.

Hai riacquistato la tua voce. Cosa vorresti dire ora che non ha voluto o potuto dire prima?

Quando facevo il Forum di Assago sold out con la band, sentivo il mio Ego che si gonfiava. Ero felice dal punto di vista egoico. Ero come i Green Day, ero un ragazzino che diceva sono diventato come il mio idolo. Dal punto di vista emotivo stavo una merda, era diventata una cosa automatica. Anche le teenagers che avevamo sotto il palco, faceva parte di una routine che per noi era normale, ma che in realtà non è per niente scontata e normale perché se ora facessi il Forum piangerei come un bambino per l’emozione. Tutta quella struttura costruita mi aumentava l’ego, però io tornavo a casa e avevo l’ansia. Litigavo con i miei genitori per delle cazzate. Non apprezzavo una realtà che un artista con anni di gavetta alle spalle, invece, apprezza. Io ritrovarmi dalla cameretta al Forum di Assago dopo un anno, io non ho apprezzato un cazzo.

Qual è la tua voce musicale, la tua atmosfera musicale, il tuo suono, ora.

Everest non è la mia linea, però al 99 per cento rappresenta ciò che vorrei fare. Non dico cento per cento perché credo che l’un per cento non lo raggiungerai mai. Sono sempre un po’ insoddisfatti. Vorrei seguire una linea più vera ma anche emotiva. Sono stato visto come solista come cantante uptempo, cassa in quattro. Mi sono sempre trovato più a mio agio in una chiave ballad, emotiva. Mi sento più un Lewis Capaldi  che un’Ariana Grande.

 

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