Intervista: DENTE – “Sono di natura un bastian contrario”
Non ridevo così in un’intervista da qualche tempo. Dente è stato il primo artista indie (che palle sto indie, lo so!) italiano di cui ho acquistato un disco dopo essermene perdutamente innamorato (del disco, certo). “Io tra di noi” ma anche “L’amore non è bello” hanno un posto speciale nel mio cuore. E sti cazzi, direte voi. Infatti, basta. Domani, nel giorno del suo compleanno, esce “Dente”, ne abbiamo naturalmente parlato. Ecco quello che ci siamo detti.
Dopo più di dieci anni, un disco che si chiama come te. Non se lo aspettava nessuno ma è arrivato…
Prima o poi doveva succedere ed è successo perché avevo questo desiderio di mettere le cose in chiaro da subito, di avere un disco molto identitario che si chiama come me e che ha la mia faccia in copertina, senza titolo quindi per non ‘disturbare’ la questione centrale. E, non per egocentrismo portato ai massimi livelli, il caso poi ha voluto che uscirà nel giorno del mio compleanno. Identitario quindi ma nel complesso molto diverso da tutto quello che ho fatto prima, al suo interno ci sono tantissime novità.
In “Dente” metti da parte i giochi di parole e la chitarra acustica. Parleremo tra poco della chitarra, vorrei soffermarmi un attimo sulla questione “giochi di parole” perché nella musica indipendente italiana sei stato uno dei primi a giocare, appunto, con le parole nel modo in cui hai fatto tu. Dopo di te in tanti, inutile negarlo, ti hanno seguito. Perché hai deciso che dovevi staccarti da quel tipo di scrittura?
Un po’ mi è venuto naturale, quasi inconscio, e un po’ anche perché oggi se ne fa un abuso più che un uso e credo si tratti spesso di un utilizzo, del gioco di parole, spesso fine a se stesso. Io negli anni l’ho usato per dire cose precise, per nascondere dei significati, non semplicemente per fare una battuta o per far sorridere. Sono funzionali i miei giochi di parole, ne sono un grandissimo amante, li uso quotidianamente ma in musica non mi più è venuto di metterli probabilmente perché sono di natura un bastian contrario: visto che li stanno usando tutti (e anche un po’ a sproposito, a mio parere) allora io non li uso più.
E il passaggio dalla chitarra al pianoforte? Nel tuo nuovo disco si sente sempre di meno la chitarra e tanto di più il pianoforte…
Anche questa è una cosa che mi è venuta un po’ naturale e un po’ no nel senso che la scelta di non metterla è stato all’inizio un esperimento che ho voluto provare proprio per dare un segnale forte di cambiamento, anche per me stesso. La maggior parte delle canzoni, poi, sono state scritte col pianoforte proprio dopo aver iniziato ad approcciarmi allo strumento quindi la chitarra acustica sarebbe stata perfino superflua.
“Dente” sarà anche un disco maturo e differente dai precedenti ma la tua cifra stilistica è riconoscibilissima. Parlamene un po’, parlami di come è nato e di come si è evoluta la sua produzione. Ho letto, ad esempio, che è il disco che, tra tutti, hai fatto ascoltare a più persone in assoluto…
Sì, perché ho sentito la necessità di fare entrare altre persone nel mio lavoro, prima invece pensavo di avere io tutte le risposte. Ho semplicemente capito che io arrivo fino a un certo punto e ho sentito quindi il bisogno, la necessità ma anche la voglia di fare di più, di fare qualcosa per potermi superare. Sono arrivato quindi a una persona in particolare che in realtà mi era anche molto vicina prima e questa persona è Federico Laini con cui ho fatto tutta la pre-produzione. Siamo usciti a cena una sera, io ero in un momento di sconforto perché non riuscivo a trovare una quadra, lui si è proposto di aiutarmi e sono venute fuori delle cose che mi piacevano molto perché le sentivo molto mie, la cifra stilistica, appunto, si sentiva, era sempre la stessa ma attorno aveva dei vestiti nuovi, differenti. Ed era proprio quello che stavo cercando. Quindi io, lui, e Simone Chiarolini abbiamo creato nuovi arrangiamenti e nuovi suoni. Dove non siamo arrivati noi, perché abbiamo anche noi dei limiti, tutti ce li hanno, sono arrivati Matteo Cantaluppi e Ivano Rossi. Nel loro studio a Milano ci siamo fatti dare delle dritte, abbiamo fatto degli aggiustamenti e dopo il lavoro di post produzione di Matteo è venuto fuori il disco.
Il disco che raccoglie le canzoni che porterai in tour e, prima del tour, gli instore.
Sì, mi piacerebbe molto durante gli instore, ad esempio, avere delle domande dal pubblico che credo siano molto interessanti. Il pubblico a volte si fa delle domande che i giornalisti non si fanno. Da metà marzo, poi, inizia il tour. Sarà un tour full band, suoneremo i pezzi nuovi ma anche i grandi classici irrinunciabili e alcune vecchie canzoni di nuovo vestite. La novità è che suonerò il pianoforte e la chitarra elettrica, cosa che nei vecchi live non ho mai fatto. Saranno sicuramente concerti diversi dai precedenti ma con delle parentesi dedicate naturalmente anche alla chitarra acustica.
Se ti va, chiudiamo con un gioco. Vorrei che definissi i tuoi dischi, uno per uno, con un aggettivo.
Allora, è difficilissimo perché sono il peggior aggettivista del pianeta Terra. “Anice in bocca” (2006) è primordiale; “Non c’è due senza te” (2007) è casalingo; “L’amore non è bello” (2009) è paradossalmente la mia gioia perché è un disco molto triste ma che mi ha permesso di fare qualcosa in più. Paradossalmente la mia gioia non è però un aggettivo.
Ma ce lo facciamo andar bene lo stesso…
Va bene. Continuo allora con “Io tra di noi” (2011) che è pettinato, il primo disco pettinato che ho fatto; “Almanacco del giorno prima” (2014) è filologico; “Canzoni per metà” (2016) è autarchico.
Dai, anche l’ultimo…
L’ultimo è… futuristico. Futuristico perché deve ancora uscire.