Intervista: MANUELLA – Il mio giro in giostra
“Giostra” è il primo EP della cantante gallurese Manuella, rigorosamente con due L, perchè sua nonna la chiama così. Un album che è il risultato di un percorso che l’ha portata finalmente a liberarsi e sprigionare tutta l’energia positiva che aveva dentro. Proprio come in un giro in giostra.
Questo nome mi accompagna da quando sono bambina. Sono gallurese, e nella mia terra le persone anziane hanno delle difficoltà a pronunciare alcune parole. Mia nonna per esempio non riesce a dire Manuela, per lei è impossibile. Dice Manuella, anzi, Manuella mè, Manuela mia” E’ così che inizia la nostra chiacchierata con la cantante sarda, quando le chiediamo di spiegarci perchè ha scelto questo nome d’arte. “Quando vivevo a Roma anche le mie amiche hanno cominciato a chiamarmi Manuella. Alla fine tra uno scherzo e l’altro mi sono resa conto che era il nome che preferivo e che mi rappresentava davvero: da un lato la parte legata a mia nonna e alle mie origini, dall’altro la parte più pazza legata alle mie amiche e alla mia giovinezza”
Il tuo EP “Giostra” è uscito venerdì. Che sensazioni provi a caldo?
Tutte bellissime. “Giostra” è un traguardo che desideravo molto. Solo la sera prima dell’uscita, a mezzanotte, ho finalmente realizzato che ero riuscita a farcela, totalmente da sola. E’ stato un percorso lungo: affrontare tutta la produzione, anche se si tratta di un mini album, non è stato semplice, così come il modo in cui l’ho fatto nascere, scegliendo accuratamente dei brani molto intensi, legati al concetto di “Giostra” appunto. E’ come se avessi avuto bisogno di liberarmi, in senso positivo: non vedevo l’ora che tutti potessero sentirlo. Inoltre essendo così carico di energia, mi ha aiutato ad allontanare tutte le sensazioni negative, quelle che ci rallentano e ci incupiscono. Non riesco ad immaginare cosa potrà accadere dopo, ma voglio godermi il momento e questa sensazione di estrema felicità.
Cosa c’è dentro “Giostra”?
La mia anima. “Giostra” è un progetto che nasce da diversi anni di sofferenza, nonostante sia una persona che non lo dà a vedere. Viene fuori dal mio essermi finalmente guardata dentro e aver detto a me stessa “Voglio davvero fare musica”. Per farlo, ho dovuto lottare con una serie di blocchi, per questo sono tornata a casa, in Sardegna, per analizzare a fondo me stessa, le mie relazioni, ritrovare il contatto con la natura. Non a caso oggi sono tornata all’essenziale, vivo fuori dal mio paese d’origine, in un piccolissimo borgo in campagna. Ho avuto bisogno di scavare dentro di me e dentro la mia terra, perché sono indissolubilmente legata a lei. In “Giostra” c’è la mia anima più pura, finalmente liberata da momenti psicologicamente molto bui, ma che mi sono serviti per raggiungere quello che io chiamo “Il mio giro in giostra”, dove tutto riparte, tutto si riprende. Ho creduto nella luce, e l’uscita del mio EP ne è la prova. Non è stato un percorso facile e non credo che finirà mai, ma iniziare a intraprenderlo è stato fondamentale, soprattutto per la mia voce. Sembra strano, lo so, ma ho sempre avuto tanta paura di tirarla fuori. Da bambina non cantavo, o meglio, lo facevo solo di nascosto. Avevo una paura immensa della mia voce, e che tutte quelle emozioni che avevo dentro non venissero capite. Nel dubbio, allora, stavo zitta.
Quanto c’è della tua terra, la Sardegna nella tua musica e nella persona che sei oggi?
C’è ovunque. Alla fine mi piace dire che “Giostra” è un cerchio che si è aperto e si è chiuso. Nel giro di questo cerchio sono stata in tanti posti diversi ma sempre, ad un certo punto, veniva fuori questo legame con la Sardegna e la mia infanzia. Penso che sia anche una questione ancestrale. Sono cresciuta con mio nonno che cantava i canti galluresi, e da bambina non ho mai dovuto imparare a fare quei tipici giochi di voce, mi venivano molto naturali. In molti hanno tentato di correggere certe sfumature della mia voce, creandomi non poche difficoltà, ma penso che le particolarità della mia voce siano un elemento a cui dare una forma, non da eliminare, altrimenti verrebbe meno la sua essenza.
Ma hai mai desiderato allontanarti dalla tua di terra?
Questa domanda mi commuove, perché è davvero brutto quando senti il bisogno di allontanarti da casa. Quando è successo a me è stato terribile ma l’ho capito solo dopo. Mentre lo facevo mi appariva come una cosa giustissima. Per esempio ad Agosto, invece di rimanere in Sardegna in costume a godermi l’estate in un posto meraviglioso, coi miei amici più cari preferivo andare in viaggio al freddo nel nord Europa. Eppure la Norvegia e l’Islanda sono stati fondamentali nel farmi capire che dovevo tornare a casa. Soprattutto l’Islanda, molto prima che decidessi di rientrare, perché da buona testarda non ho ascoltato subito questo segnale. Quella terra mi aveva suggerito sensazioni simili a quelle delle mia Sardegna, nonostante fossi sicura che non avrei mai trovato lì quello di cui avevo bisogno. Poi mi sono detta “Ma cosa stai facendo?”. Mi mancava tutto. E allora sono tornata all’essenziale.
In “Giostra” dici “Ho preso i fallimenti come sbucciature alle ginocchia/i primi giorni male e poi/ho riso con la crosta/ e ho fatto un giro in giostra”. Tu sei davvero una persona capace di affrontare le cose in questo modo, un po’ come fanno i bambini?
Per forza. Non che sia facile, ma essendo io una persona dinamica devo muovermi, reagire, affrontare continuamente nuovi stimoli. Spesso mi imbatto in scelte difficili, mi capita di sbagliare e sono anche molto impulsiva. Eppure ho capito che fino a che non riesco a definire meglio questi fenomeni della vita, devo essere almeno brava a reagire, a tirarmi su e ritornare sulla giusta strada. Lo devo fare perché mi piace il cambiamento, il rischio, come questo progetto in cui ho investito tanto tempo ed energia. Se non avessi reagito come una bambina di fronte a una sbucciatura sarei ferma, come lo sono stata purtroppo in passato.
Se dovessi invitare qualcuno a salire sulla tua giostra, per alleggerirsi e godersi magari un momento di spensieratezza, chi sarebbe?
Non porterei la me bambina, ma la me adolescente. Da bambina, tutto sommato, non focalizzavo ancora bene tutte le cose, le vivevo e basta, senza pensarci. Da ragazzina non ci riuscivo, mi sentivo paralizzata.
Il tuo genere è stato definito “Etno Beat made in Sardinia”. Ti ritrovi in questa definizione e in generale ti piace avere un’etichetta?
E’ stato difficilissimo arrivare a trovare una definizione che raccogliesse più aspetti possibili del mio sound. Devo essere sincera, nella scrittura del progetto mi ha aiutato una mia cara amica perché avevo tutto in testa ma non riuscivo a metterlo nero su bianco, cosi come non riuscivo a trovare un aggettivo giusto. Le classificazioni secondo me mettono limiti e barriere inutili, ma in questo caso trovo che descriva tutti gli aspetti della mia musica: l’associazione “etno beat” e “sardinia” mi fa volare!
Il tuo instagram è molto bello, mostri spesso vari lati di te attraverso gli scatti e il modo di vestire, una personalità sensuale, a volte giocosa, a volte immersa nella natura, altre volte in contesti decisamente più urbani. Chi è la vera Manuella, una, nessuna o centomila?
Sono sempre io, e quelle sono tutte sfumature del mio essere, ma se dovessi scegliere la mia condizione migliore è dove ho meno abiti addosso e ci sono montagne, acqua, alberi, verde. Quello con la natura è per me un legame davvero vitale.
Tu hai avuto una gavetta lunga e tosta, ma ricca di momenti significativi, importanti. Come hai superato le difficoltà?
Sarebbe figo dire nella musica, e invece no, non è stato sempre così. Come dicevo, ho passato un periodo in cui non riuscivo a trovare la mia voce e il mio male spesso derivava proprio da lei. Eppure quando ritornavo alla musica, ritrovavo anche me stessa e finalmente mi sentivo bene. E la forza di riabbracciare la musica la trovavo in me. La nostra salvezza parte da noi e dipende da noi.
Un pezzo che mi è piaciuto molto è “Ho smesso”, che ho visto come un tuo manifesto di autodeterminazione, emancipazione, indipendenza, ritrovata libertà.
E’ il mio mantra. E’ una canzone che ritorna sempre, anche per le persone che mi ascoltano e mi seguono. “Ho smesso” è il brano da sentire mentre stai per mollare. Avevo bisogno di scrivere questa canzone, ed è solo per me che l’ho fatto, lo ammetto. Non l’ho nemmeno ragionata, è nata a Milano, in una notte, di getto. “Ho smesso da un pezzo di farmi accecare” si lega ad una serie di meccanismi profondamente radicati nella nostra società e in quello che ci circonda, e che a volte ci incastra, soprattutto in un piccolo paese in cui dominano credenze ormai superate e di cui a volte è difficile non rimanere appunto accecati.
In “Sceti Tui” canti in dialetto sardo. Ci sono delle differenze a livello emotivo rispetto al cantare in italiano?
Ce ne siamo innamorati molto anche noi mentre la stavamo producendo, Abbiamo deciso di associare questo cantato primordiale ad un sound super attuale. Interpretare brani della mia terra mi emoziona moltissimo, mi si stringe la gola, è come se questo “qualcosa” arrivasse da lontano ed esistesse da sempre, mi travolge un senso di infinito, di ancestrale
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