Intervista – MINISTRI: Non vogliamo più sfumature di grigi
“Non vogliamo più sfumature di grigi”, i Ministri tornano dopo tre anni di silenzio con un Ep: Cronaca Nera e Musica Leggera (LEGGI LA RECENSIONE). Quattro brani che fanno dell’urgenza e immediatezza capisaldi.
Voi siete sempre stati Fuori, fuori dal “politically correct” o non vi siete mai fatti influenzare dalle mode del momento cosa che invece alcuni vostri colleghi non hanno fatto. Cosa vi ha dato e tolto questa scelta?
Ci siamo resi conto che la musica vive nel presente, quindi bisogna sapersi adattare. Ognuno ha il suo percorso e ci si confronta con la realtà che ha attorno. Diciamo che la contingenza è diventata sempre più preponderante più dei contenuti storici- musicali. Abbiamo sempre salvaguardato quello che erano gli aspetti essenziali del nostro far musica. Poi sicuramente anche noi, qualche compromesso lo abbiamo fatto, nel senso che il contesto che ci sta attorno non è più quello delle nostre radici soprattutto a livello culturale. Sicuramente con questo Ep, però, siamo riusciti a tirare fuori contenuti più critici, come se fosse un nuovo esordio per certi aspetti.
L’Ep. Si può definire con due parole: urgenza e immediatezza.
Concordo. Alla fine non ci si rende conto, ma ritornando anche al discorso di prima, si pone anche una domanda implicita, nel senso: quanti artisti fanno quello che hanno realmente in mente, se si rispecchiano davvero nella musica che propongono?. In questo senso ti dico, l’urgenza per me oggi è tutto. Quando la intravedi in un progetto e la percepisci, ti da grandissima credibilità. Quello che ci interessava tirare fuori in questo momento era proprio quello. E’ stato un anno strano, pieno di contraddizioni sia da un punto di vista istituzionale e in concreto del modo di rapportarsi umano. Forse tornare alle situazioni più urgenti e immediate, per noi, era la cosa più giusta da fare senza scendere a compromessi con niente.
Questo Ep è l’inizio di un nuovo ciclo. Avete abbandonato le giacche?
No, non le abbiamo abbandonate, semplicemente non c’è stato modo di suonare. Per noi sai che sono una sorta di vestito che ci serve catarticamente a declinarci nello spettacolo. Quando noi, fondamentalmente, come uomini ci doniamo alla gente. Non c’è stato ancora questo passaggio, per cui avete visto solo il grande lavoro di Nic Cerioni nel momento in cui gioca con un immaginario e forse bisogna affrontare con più immediatezza e leggerezza anche questo aspetto di noi. Non siamo più quei brutti, cattivi e nostalgici di un tempo. Ci piace anche a giocare con noi stessi e con l’immagine però sul palco la giacca ci servirà se no come ci vestiamo.
Alla luce del fatto che fate musica da un po’ di tempo. Vi sentite a vostro agio con tutti i brani in repertorio o alcuni vi vanno stretti ora?
Qualcosa inevitabilmente andrà stretto. Forse c’è un brano emblematico, che è stato estremamente frainteso: Bevo. Era un momento in cui ci toccava anche in quella fase più giovanile. E’ diventato un inno all’alcolismo nelle peggiori situazioni venete. In realtà volevamo puntare il dito su una questione che poi è monopolio dello stato e attanaglia il vivere del giovane, volevamo portare le persone a riflettere intorno a quella problematica, non tanto a inneggiare. Uscendo dal singolo brano, ti dico che quando ad esempio abbiamo festeggiato i dieci anni dall’uscita del primo disco, abbiamo risuonato tutti i dodici brani. Risuonandoli abbiamo capito per un’altra volta, con una distanza generazionale i nostri stessi esordi, abbiamo capito il nostro momento di esordio.
Cronaca Nera e musica leggera mette in contrapposizione quello che sta accadendo negli ultimi anni: il contraltare per una cronaca sempre più nera è una musica sempre più leggera, priva di contenuti. Il vostro approccio rispetto alla critica che si è aperta a tal proposito negli ultimi anni?
La domanda è complicata. Sicuramente la cosa che abbiamo notato negli anni, è soprattutto che il comunicare che si è spostato anche su delle vetrine molto sui generis: social network, così come la fruibilità della musica ormai. La comunicazione si è spostata quindi in un ambito non più fisico e ha anche cambiato le persone. Questo è quello che io personalmente ho notato, poi ci confrontiamo quotidianamente. La musica è un mezzo comunicativo, si completa se qualcuno la ascolta. Questa ricerca totale del sensazionalismo con la ricerca di una cronaca nera, abbinata all’assenza del contenuto, ha portato al deserto culturale che circonda, sta dando un imprinting culturale impressionante. Non è sentirsi vecchi, è sentirsi altro rispetto alle nuove generazioni. Io non ho difficoltà a comunicare con i giovani, ho un’attitudine e un comportamento sociale diverso. Non mi piace la parola collettività perché è ormai tramontata nelle ideologie, bisogna però tornare a pensarsi singoli, che messi insieme creano qualcosa di importante. Ora c’è un preponderante individualismo che si trasforma in meccanismi bellici.
Per le scelte musicali del disco: Chitarra in primo piano la batteria che sostiene la parte ritmica e il basso in secondo piano. Come mai?
In realtà è stata una valutazione fatta in un secondo momento. Quest’anno e mezzo comunque non eravamo impegnati sul palco, eravamo con la testa sugli strumenti separatamente. Quando ci siamo potuti ritrovare, sul piatto c’erano tanti brani. Quelli che abbiamo scelto hanno un collante, hanno dei tratti somatici che potevano appartenere a una stessa linea sonora. Abbiamo sentito la necessità di registrarli tutti assieme nel medesimo modo, con gli stessi suoni. Ci siamo accorti che questi pezzi dovevano stare assieme perché avevano più forza.
Il filo logico dell’EP lo ritroveremo in quello che sarà l’album?
Penso che sarà un album di rottura rispetto all’Ep. Abbiamo bene in mente che non volevamo più sfumature di grigi. Il prossimo disco risulterà diverso come percezione, ed è quello che vogliamo.
Siete gli unici che non avete collaborazioni nei dischi perché?
Perché non c’è mai stato modo. Dall’altra parte ci siamo accorti che c’è un’inflazione nel mondo di featuring che è quasi ridicola. Io vengo da una tradizione, che il featuring era un momento più unico che raro. Ci sono artisti che non hanno mai fatto esordi discografici ma sono già noti per i loro featuring. E’ un mondo strano, questo mi fa credere che la musica sia cambiata nella sua natura. La musica è diventata un oggetto di consumo. Per noi va oltre fare la hit, la musica deve dare una direzione e questo tutto sommato ciò che cerchiamo di fare da una vita.
Tre anni di silenzio. Ve lo aspettavate questo interesse?
Non ci siamo posti la domanda. Abbiamo maturato l’idea che se vogliamo essere quel che siamo dobbiamo fare quel che siamo, cioè musica. Ci siamo disamorati dei feedback con il tempo. Sappiamo che apparteniamo a una scena che è cambiata e con cui ci dobbiamo confrontare. Però non è quello il punto su cui noi ci incaponiamo. I consensi sono con noi stessi.
Dove vi posizionate nei confronti di questa scena?
Per me va bene tutto, la musica è espressione culturale del presente. Forse questa è la cosa più preoccupante perché ogni tanto mi fa specie come si portino avanti delle battaglie senza guardare le sfumature dei concetti e dei contenuti, mentre dall’altra parte abbiamo come colonna sonora frasi da urlo che bisognerebbe rimanere allibiti solo per il concetto di partenza non tanto per come viene svolta. E’ una sorta di Medioevo al contrario. Il Medioevo si caratterizza per l’assenza totale di fonti, qua ne abbiamo pure troppe. Sono anni affollati, come disse Gaber. Io non penso che comunque non ci si possa permettere il lusso di mettersi contro o di schierarsi, bisogna mettersi a lato ed osservare che sta succedendo e prendere le decisioni a momento opportuno.
Sanremo sì o Sanremo no?
Sanremo nì. Ci hanno fatto notare che eravamo gli unici a non aver mai fatto richiesta di partecipare a Sanremo, sicuramente ci butteremo nella mischia prima o poi, ma non è la cosa che ci fa funzionare. Se la vogliamo fare è per mettere una coroncina su qualcosa. Per me non è un obbligo, ci sono tante realtà musicale che stimo, che non l’hanno mai considerato. Se si prendesse la decisione di farlo bisognerebbe anche capire come, perché fai un investimento su una situazione che non è proprio per la gente niente. E’ controverso.
Avete capito qualcosa di questa vita come in Bagnini?
Abbiamo capito che non siamo giovani, dobbiamo essere noi che teniamo la barra dritta. Non possiamo sempre fare quelli che hanno i genitori colpevoli che gli hanno regalato un futuro infame perché di fatto il testimone è passato di mano e tocca a noi. Mi rendo conto che si è passati dall’irresponsabilità di essere i più grandi combattenti del mondo, ad essere noi responsabili delle guerre dei giovani ammesso che le stiano intraprendendo e le stiano intraprendendo nel modo giusto. Ho grande stima delle nuove generazioni perché a differenza della mia che ha fatto battaglie per tutto, alcuni temi non li avevamo colti.
In Inferno ci vuole del coraggio per andare all’inferno. Qual è la scelta più coraggiosa verso voi stessi che avete fatto?
Non lo so, abbiamo sempre fatto ciò che ritenevamo giusto. E’ forse questo il nostro inferno, non aver mai fatto una scelta davvero rivoluzionaria.