Intervista: PARRELLE – Alla musica devo tutto
Parrelle ringrazia l’insonnia per avergli permesso di scrivere canzoni che rispecchiano esattamente quello che è. Come “Dalle22alle5”, il nuovo singolo che parla di quanto sia difficile lasciarsi alle spalle un amore da bmp accelerati.
Si definisce “un ammasso di fili ingarbugliati che si intrecciano, eterno sognatore che fa a pugni con una realtà che gli sta stretta come un paio di scarpe 40, quando tu poi porti il 42″. E’ questo Parrelle, cantautore napoletano che ha trovato nella musica la sua certezza, e la sua salvezza.
Parrelle è un nome che si ispira al luogo da cui provieni. Che rapporto hai con le tue origini, e se hanno influenzato la tua musica mi racconti in che modo?
Quando la tua ninnananna da bambino è un blues di Pino Daniele, forse è più facile crescere e sognare di voler fare musica. La mia terra è tradizione, passione, sangue che pulsa all’unisono con le corde di una chitarra o di un mandolino. Sono sicuro che per ogni napoletano, ci sia una particella intrinseca d’arte, sin dalla nascita. Spetta soltanto a noi farle prendere il sopravvento e, fortunatamente, per me è stato davvero così.
In questo momento di semi-clausura obbligata, ti va di raccontarci cosa vedi dalla tua finestra?
Luce, a tratti buio. Vedo le ombre che giocano a rincorrersi e ripetersi in un giardino che ho qui dinanzi, montagne in lontananza che salutano le ultime briciole di neve, qualche anima che prova timidamente a mettere il naso fuori l’uscio ma poi scappa in casa perché ha dimenticato la mascherina. Vorrei vedere qualcosa di diverso, spero accada presto.
Come hai vissuto quest’ultimo anno? La tua musica ne ha risentito e se sì, come?
Mi sento fortunato, si molto fortunato, innanzitutto a poter raccontare qualcosa sull’ultimo anno, se penso alle tante, troppe persone, che non ce l’hanno fatta. Il Covid ha cambiato radicalmente non solo le nostre abitudini, ma la nostra concezione di libertà; tutto questo silenzio, questo restare a casa perché non c’è altra scelta, ci ha costretto a guardarci dentro, forse più del solito, scoprendo voragini, lacune ma anche sorgenti a cui attingere. Avrei voluto suonare guardando negli occhi altri occhi, caricare la chitarra sulla spalla e portare in giro la mia musica, ma il mio miglior palcoscenico è stato il divano di casa. Beh, saranno felici i vicini.
Raccontaci di “Dalle22alle5”. Parla di qualcosa che hai vissuto sulla tua pelle? Eri arrabbiato mentre la scrivevi?
Penso che scrivere una canzone sia un profondo atto di amore verso sé stessi. Bisogna avere coraggio per metabolizzare un’emozione, specialmente quando ti accartoccia come l’ennesimo foglio protocollo che butti via perché hai scritto ancora una volta qualcosa che non ti convince. “Dalle22alle5” è l’insieme di una serie indefinita di attimi, che ho custodito gelosamente dentro nella stanza dei ricordi. E’ pura magia pensare di poter racchiudere anni, occhi e volti in due minuti e quarantacinque. Questo mi rende felice.
Tu sei più gufo o allodola? Ami più il giorno o la notte? Quando sei più produttivo?
Io e l’insonnia siamo in una relazione complicata da anni ormai: le ho chiesto di prenderci una pausa tante volte, ma non mi lascia andare. Però le sono riconoscente, si, perché grazie a lei ho scritto canzoni in cui ad ogni ascolto sorrido mordendomi il labbro inferiore, perché rispecchiano esattamente quello che sono. Un gufo, perché amo la notte e le sue più piccole sfaccettature. “Non succede mai nulla di buono dopo le 2:00 di notte”, inizia così uno dei miei episodi preferiti di “How i met your mother”, ma in realtà non sono poi così d’accordo.
Se adesso non ci fosse la pandemia, se ci svegliassimo e scoprissimo che il Covid è stato solo un brutto sogno… qual è la prima cosa che faresti tra quelle che purtroppo non si possono più fare?
Un concerto. Io andrei ad un concerto, per il gusto di mischiarmi tra la gente e riconoscermi nella loro stessa voglia di libertà, di ribellione; le birre in una mano, il biglietto nell’altra, ti vesti a strati perché poi sai che nel palazzetto ad una certa l’atmosfera diventa bollente. Buio. Si spengono le luci. L’attesa, il cuore in gola, prima di esplodere e ritrovarsi a ballare e cantare insieme a perfetti sconosciuti. Sembra sia passata un’eternità.
La copertina del singolo sembra un collage surrealista di impressioni lontane, alla maniera di Salvador Dalì, ricca di simboli e rimandi. Ci dici di più?
Volevamo un artwork che suscitasse proprio questo, che smuovesse qualcosa di profondo e suggestivo negli occhi e nella testa dell’osservatore. La scelta dei colori tenui, delle labbra con l’iride incastrato all’interno, le palme sullo sfondo: tutto si trova in quel preciso posto, quasi a immortalare un istante che merita di essere scoperto, di essere approfondito. Marco Casini è riuscito perfettamente a costruire tutto quello che avevo immaginato. E ce ne vuole ragazzi.
In un post su IG hai scritto “C’è quella sensazione dentro che mi divora, quella sensazione che mi stringe ognicazzodivolta che parlo di me. E’ tormento e liberazione, è attesa e desiderio. E’ vomitare una vita che mi sta stretta”. Sembra che non parli volentieri di te, sei una persona riservata?
Mi piace definirmi come “un ammasso di fili ingarbugliati che si intrecciano”; scegliere di mettersi a nudo con le proprie canzoni, con i propri pensieri, credo non sia mai facile, eppure è un qualcosa più forte di me: tutta questa necessità di raccontarsi e raccontare descrive la mia indole, eterno sognatore che fa a pugni con una realtà che gli sta stretta come un paio di scarpe 40, quando tu poi porti il 42. Più che riservato, direi che riservo quello che sono, per gli altri.
“La mia nuova canzone è una voragine tra il cuore e lo stomaco”. C’è un modo per riempirli questi vuoti, secondo te?
Trovare chi sappia riempire i Gran Canyon che hai dentro, credo sia una delle sfide più intense e meravigliose che possano esistere: ci vuole coraggio ad accettare le proprie voragini, ma ci vuole altrettanto coraggio per aprire il cuore e lasciarsi attraversare. A toccare un’altra persona possono riuscirci tutti, ma è quando sfiori le corde della sua anima che fai la differenza.
Sempre su IG: “Sono ipocondriaco. Scrivo per avere meno paura”. La musica è taumaturgica per chi la fa e per chi la ascolta?
Per me lo è stata, sempre. Ho scritto e affermato più e più volte che la musica m’ha salvato la vita e continua a farlo, inconsapevolmente. Le devo tutto, la mia rinascita, i miei sogni da adolescente e da adulto. La musica è quel posto dove le mie parole trovano casa, rifugio, amore. Lì dentro sono e saranno sempre al sicuro. Credo valga un po’ per tutti, per chi ha una chitarra tra le mani, le dita su tasti bianchi e neri, o semplicemente un paio di Air Pods nelle orecchie: l’aspetto taumaturgico della musica è tutto qui, quando chiudi gli occhi e il mondo intorno può anche scomparire.
“E non c’è niente che mi fa più male che dire noi ma inteso al singolare”. Esiste un qualche modo, secondo te, per essere un 2, e non semplicemente 1+1?
Ci speriamo un po’ tutti possa esistere, anche se a volte la realtà ci racconta tutt’altro, e facciamo una fatica immane a restare in equilibrio. Entrare alla perfezione nell’incastro di un’altra persona è cosa rara, diamante prezioso da custodire gelosamente: essere un “ 2 “ vuol dire coordinarsi i bmp del cuore e viaggiare all’unisono, nonostante la vita continui a portarci fuori tempo, a torturarci facendoci sentire imperfetti. Ma alla fine la perfezione è soltanto un punto di vista. Essere un “ 2 “ è un po’ come dire: “spogliati delle tue paure, che a coprirti d’amore posso riuscirci io”.