Intervista – IL GEOMETRA: Una musica molto italiana
Il Geometra è un progetto a tre. Tre come i lati di un triangolo, forse più scaleno che equilatero. Ma comunque in perfetto equilibrio. Così come il singolo “Per quel che resta”, che anticipa i temi che ascolteremo nel disco in arrivo, dedicato ai temi del Cristianesimo.
Gli abbiamo chiesto perchè proprio “Il geometra”, quando avrebbero potuto puntare ad “L’Ingegnere” o “L’Architetto”. La risposta è presto detta, e spiazza: “Gli ingegneri sono molto sicuri di loro stessi, gli architetti sono molto felici e innamorati di ciò che fanno. Troviamo disgustosi entrambi i succitati approcci al lavoro e alla vita. Il Geometra invece è esperto, in maniera più o meno superficiale, nei campi della progettazione, della legislazione tecnica, dell’estimo, delle divisioni successorie e di tantissime altre cose noiose benché necessarie. Per questo abbiamo scelto questo nome, perché è molto identitario: è il professionista più “italiano” a cui io riesca a pensare, così come la nostra musica è – citando Stanis La Rochelle – “molto italiana”. Segnalo che nessuno di noi tre è un geometra nella vita. Abbiamo chiacchierato Jacopo, uno dei tre componenti della band di Foligno. Non certo di geometria, ma di musica, e di vita.
Nella vita – e nella musica – preferite il rigore della geometria al disordine?
Non credo sia possibile ragionare in termini così netti. Talvolta siamo metodici e rigorosi, altre volte siamo i peggiori nemici di noi stessi. Abbiamo impiegato sei anni prima di tornare a fare musica, siamo disastrosi nella comunicazione e piuttosto privi di ambizione, perché nel frattempo siamo diventati “vecchi” e la musica si è inesorabilmente trasformata nel velleitario tentativo di scappare dalla routine della scrivania e di quelle e-mail che iniziano con “Cari tutti”. Però siamo stati coerenti e precisi rispetto a ciò che avremmo voluto dire con il disco che uscirà, questo ce lo riconosco.
Come vi siete conosciuti e come si sono incontrati e uniti i tre lati di questo triangolo?
Siamo amici sin dai tempi del liceo e abbiamo sempre ascoltato tantissima musica cantautorale. Io iniziai un po’ per gioco, un po’ per esigenza, a scrivere delle canzoni. Fu tutto molto naturale: eravamo e siamo molto legati e per questo il Geometra, che per noi è stato un “laboratorio” umano prima che musicale, non avrebbe potuto che essere formato da noi tre.
E’ una scelta audace, quasi “osè”, passatemi l’ossimoro, dedicare un album al Cristianesimo di questi tempi. Come mai questa scelta, da dove parte questa necessità?
Probabilmente sarebbe stato più audace farlo quando Gesù Cristo era ancora in vita! Non si tratta di una necessità in ogni caso. Si è trattato di un esercizio di stile, atto a denotare quanto i valori fondanti del Cristianesimo siano presenti in gran parte delle cose che diciamo, nelle speranze che riponiamo nel futuro, nel modo in cui ci emozioniamo. Non c’entra molto con la dimensione spirituale, che nella maggior parte degli esseri umani è molto evanescente o comunque ben nascosta.
Cosa troveremo nel vostro disco?
Sono canzoni che parlano di umanità, di finitezza, di speranze, di patetici slanci e molto dolore. Il campo semantico del disco è il sentimento cristiano, che filtra – con esiti più o meno positivi – ogni azione che viene compiuta da noi occidentali.
La vostra è un’indagine che prende piede dal vostro essere cristiani osservanti o semplicemente vi interessava fare un disco su un argomento che riguarda la nostra cultura, così come poteva essercene qualsiasi altro?
Non posso parlare a nome degli altri. Io mi definirei banalmente laico, ma mi sento molto vicino ai valori del Cristianesimo. Questi valori sono storpiati, maldestramente tradotti dalla mia personalità e mi rendono al contempo altruista ed egoista, empatico e insensibile, misericordioso e pieno di rancore, scevro da pregiudizi ed estremamente giudicante, progressista e drammaticamente bigotto. Trovo interessanti queste contraddizioni che, in misura diversa, ci riguardano tutti. Quindi è un’indagine che si concentra molto sull’umanità, in particolare sull’umanità occidentale influenzata dai valori cristiani.
“Per quel che resta” non è un brano semplice, non è una canzone che si può ascoltare senza prestargli la giusta attenzione, non è un pezzo da far scorrere in sottofondo. Cosa ci racconta?
È un insieme di immagini che vorrebbero evocare degli stati emotivi ma anche delle riflessioni amare su tante delle nostre certezze. È una canzone che, personalmente, trovo molto dolorosa perché mi riguarda. Mi riguarda nella misura in cui, a un certo punto della mia esistenza, ho iniziato a fare i conti con i miei limiti, con le mie paure, con la miseria dei miei piccolissimi successi. E al contempo ho realizzato che il modo migliore per non impazzire era l’indifferenza, la sordità rispetto a queste evidenze. Far finta di essere sani. Tuttavia, io credo che l’indifferenza non sia mai la scelta migliore in assoluto. È un compromesso. Ecco, forse la canzone parla di compromessi.
Non avete sentito il bisogno di parlare di speranza, dopo un periodo in cui ci siamo sentiti tutti sopraffatti e quasi senza futuro?
Il disco contiene anche moltissime parole di speranza, ma non c’è una correlazione netta con il periodo che abbiamo vissuto. Avrei trovato patetica un’operazione del genere e in ogni caso credo che le emozioni provate nell’ultimo anno e mezzo abbiano necessità di un lungo “affinamento in botte” prima di poter fruttuosamente essere declinate in un prodotto artistico valido.
Dite che il pubblico è pronto ad accogliere un tipo di messaggio del genere, di fronte al proliferare di canzonette leggere, i tormentoni estivi che ci siamo appena lasciati alle spalle (per fortuna) e l’imminente ondata di roba natalizia che a breve ci investirà (purtroppo)? Io ho la sensazione che la gente non abbia voglia di pensare a niente e lo percepisco anche nei messaggi musicali..
Probabilmente esiste una nicchia di pubblico, meno piccola di quanto si immagini, che potrebbe essere astrattamente interessata a questo tipo di canzoni. Per il resto non ci interessa molto arrivare alle masse. Dal punto di vista artistico ho sempre sperato di poter essere ritenuto integro e credibile. Il successo è sicuramente affascinante ma non è mai stata una priorità.
Sono curiosa di sapere chi vi intriga tra le voci della musica italiana contemporanea. E chi sono i vostri artisti preferiti, chi vi ispira e chi ascoltate.
Tra gli artisti contemporanei citerei Giorgio Poi, Giovanni Truppi e Galoni. Tutti e tre enormemente sopra la media. In generale ascoltiamo molta musica italiana, sia quella dei padri nobili della canzone, che quella degli “Dei Minori”, tra i quali cito Ron, grandissima fonte di ispirazione per questo nostro disco.
Concerti: green pass sì o green pass no? Capienze totali o ridotte?
Ritengo che il green pass sia una scelta necessaria. Sul tema “capienze” non mi esprimo, non ho un’opinione forte al riguardo. Da operatore del settore vorrei dire “capienze totali”, ma da utente non sono affatto sicuro che andrei in un club, schiacciato tra altre mille persone che mi sudano addosso. Probabilmente non ci sarei andato neanche prima del Covid.