Live report e scaletta – PATTI SMITH: il suo magnetismo live
Nuovamente live in Italia Patti Smith chiude il suo tour di otto date (diviso tra acustico e con band) esibendosi a Milano nel cortile del Castello Sforzesco.
Quella che viene stancamente definita la “sacerdotessa del rock” potrebbe meglio essere detta la “sciamana del rock”, per la sua capacità di catturare il pubblico, di condurlo nel suo mondo che è poi quello post freakettone degli anni ’70. Un mondo fatto di poesia, di condivisione, di umanità e di un forte senso di libertà, temi a cui la cantante e autrice newyorkese è assai legata.
Patti torna in Italia a un anno di distanza dalla sua ultima esibizione, rimarcando così (pandemia permettendo) il suo annuale appuntamento con il nostro paese.
Sul palco la Smith è accompagnata da un trio di musicisti: il figlio Jackson Smith alla chitarra, l’amico di lunga data Tony Shanahan al basso e il batterista Seb Rochford. In poco più di un’ora e mezzo di concerto l’iconica artista americana regala al pubblico di Milano una manciata di canzoni del suo repertorio, con i suoi cavalli di battaglia, e un trio di cover di alto livello.
L’atmosfera al Castello è delle migliori, un pubblico accogliente, ben “votato” alla cantante tra cui spiccano molte “teste bianche” ma anche parecchi giovani, confermando così come la sua musica abbia resistito all’usura del tempo ma soprattutto di come il “personaggio” Smith sia ancora un punto di riferimento, anche oltre il livello musicale.
La cantautrice dal palco cattura l’attenzione anche con la sua semplice presenza, le basta muovere una mano che il pubblico è ancor più affascinato. Quando poi canta o parla l’attenzione è catalizzante e totalizzante (al netto di coloro che non riescono proprio a stare zitte).
Dopo una prima parte musicale arriva il primo tributo poetico che viene riservato a Allen Ginsberg (“Footnote to Howl”) recitato con grande enfasi.
Durante il concerto ritorna la poesia con un “omaggio” a Leopardi di cui recita “L’infinito” che in inglese (lingua in cui vene letta l’opera) diventa “The Infinite”. Ogni brano viene anticipato da una più o meno breve introduzione durante la quale la Smith coglie occasione per esprimere il suo pensiero.
In scaletta tre importanti cover, una di Bob Dylan (“The Wicked Messenger” – dall’album “John Wesley Harding” 1967) resa in versione bluesy e una di Neil Young. Del cantautore canadese propone una strepitosa rilettura voce e piano elettrico di “After The Gold Rush” (dall’omonimo album del 1970).
È una versione magnetica, che cattura il pubblico e lo incolla senza respiro alle sedie. La platea è (al netto di coloro che proprio non riescono a stare zitte) ammutolita, rapita, estatica, con Patti che scandisce le parole con una sapiente gestione dei pieni e vuoti, in un carico emotivo pesante. L’altra cover (la seconda in ordine di scaletta) è una rilettura di “Fire” di Jimi Hendrix affidata al solo gruppo, con la Smith che si defila dal palco lasciando la scena alla chitarra del figlio, che ovviamente non è “incendiario” come Jimi ma dimostra una certa dote chitarristica.
Prima ancora, a scaldare il pubblico per Hendrix, una lunga versione di “Beneath the Southern Cross” (dall’album “Gone Again” del 1996) durante la quale il trio prende in mano le redini musicali in una lunga digressione strumentale e Patti in secondo piano con la chitarra acustica accompagna. Il suono che ne esce è di una chitarra pulita, mai sopra le righe, elegante e non “rumorosa”, ma matura, quasi vicina ad un’atmosfera jazz più che rock.
Sul finire ovviamente i cavalli di battaglia della Smith non possono mancare. E allora tutti in piedi per una partecipata “Because The Night” e una lunghissima “Gloria” (in realtà altra cover). Per i bis (sul palco alla chitarra acustica il cestista Gigi Datome, Olimpia Milano ma per lungo tempo in NBA) l’immancabile “People Have The Power”, che poi viene cantata dal pubblico in uscita dal cortile del Castello.
Patti Smith, seppure apparentemente un po’ affaticata, è sempre una sicurezza, una presenza prestigiosa, un personaggio che per la sua storia e il suo pensiero travalica il “semplice” ambito musicale e sconfina in quello “sociale”, culturale e anche politico affascinando sempre e comunque il pubblico che l’aspetta ogni volta come un “messia”.
Ps: Dopo tre brani dall’inizio del concerto sale sul palco Tommaso Sacchi, assessore alla cultura del Comune di Milano, per consegnarle una “pergamena della città” assegnatale in riconoscimento ai suoi meriti culturali. Nei giorni precedenti sui social sono girate delle foto di Sacchi che accompagnava la Smith in una visita storico artistica di Milano.
SCORE: 7,50
Recensione di Luca Trambusti per musicadalpalco.com (Clicca per leggere l’intero articolo)
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photo: Giorgio Zito