Live report – ERIC CLAPTON: la magica essenza [Info e scaletta]
Era dal 2011 che Eric Clapton mancava dall’Italia e dal 2001 che non si esibiva a Milano.
Un lungo vuoto che con le tre date italiane (Bologna 9 e 10 ottobre e Milano 12 ottobre) si è ora colmato. Vedere Clapton nel nostro paese non è stata opera facile. Prima le limitazioni agli spettacoli per il covid, poi la positività al virus dello stesso Clapton hanno allungato i tempi e, in coda al tour, il chitarrista inglese si è potuto finalmente esibire di fronte al pubblico italiano.
Una lunga attesa ripagata da un ottimo concerto ma di breve durata: poco più di novanta minuti in cui però si è goduto al massimo per ciò che si è sentito, ma ciò che si è sentito non si vorrebbe mai finire di sentirlo. Così quando Clapton si toglie la chitarra e saluta si ha la sensazione di aver gustato solo l’antipasto. Purtroppo, però questo non è un pranzo di Natale, ma un light lunch.
Così bisogna “accontentarsi” e godere sino in fondo ogni singola nota, ogni singolo istante di questo concerto ineccepibile. A regalare il tutto la chitarra di uno dei migliori e importanti chitarristi in ambito blues e non solo. Slowhand a 77 anni dimostra la veridicità del soprannome che lo accompagna da anni. La sua mano non vola sul manico della tastiera e sulle corde ma il tocco, la sua delicatezza e qualità, è quello che lo contraddistingue, insieme alla bellezza del suono che esce dallo strumento.
Il concerto è di grande essenzialità ed estrema sobrietà. Nessuna concessione allo spettacolo ma solo alla musica. La scena è riempita pienamente dai sei musicisti e due coriste. L’impianto luci è minimale e “statico”: dei fari chiari illuminano la scena insieme a una serie di “piantane” tipo salotto. Non ci sono variazioni cromatiche. Ma d’altronde niente oltre alla musica serve per catturare l’attenzione dell’ascoltatore.
Lo spettacolo si apre con una parte elettrica, poi ha una sessione acustica (e la memoria torna all’unplugged di MTV) e infine torna in veste elettrica. Il magico suono della chitarra di Eric Clapton si divide la scena con le tastiere, piano e organo rispettivamente suonati da Chris Stainton (già con Joe Cocker e dal 79 insieme al chitarrista) e da Paul Carrack. Oltre a loro la chitarra di Doyle Bramhall, che assolve molto bene il non certo facile compito di “competere” con Clapton. È un gruppo di grandissimo livello che però sa come superare il limite dello strumento e regalare ottime vibrazioni al pubblico. Sulla lunga “The Sky Is Crying” si aprono le finestre su ogni strumento (esclusa la parte ritmica) che si prende l’evidenza della scena mentre Clapton resta sullo sfondo.
Nei circa 100 minuti Clapton ripercorre la sua carriera arrivando sino ai mitici Cream (“Badge” del 1969 nell’album “Goodbye”) e proponendo brani molto noti del suo repertorio, canzoni o riletture che hanno avuto un grande successo e che lo hanno consacrato (“Cocaine” ad esempio). Tocca i classici del blues: “Crossroads” di Robert Johnson (anch’essa nel repertorio live dei Cream), “I’m Your Hoochie Coochie Man” a firma Willie Dixon o la lunghissima “The Sky Is Crying” di Elmore James ma anche momenti più delicati con grandi ballate come “River of tears”, “Tears in Heaven” o “Wonderful Tonight”, senza dimenticare la sua personale e classica rilettura di “I Shot The Sheriff” di Bob Marley (un po’ troppi interventi delle coriste). Il brano dell’unico bis (una cover di Joe cocker) vede ospite sul palco anche Robben Ford il quale ha avuto il compito di apripista esibendosi prima di Clapton (con una performance un po’ al di sotto delle sue qualità).
Dunque nessuna concessione allo spettacolo, poca o nulla empatia con il pubblico (a volte – valutandolo a posteriori – forse un tantino fin troppo asettico, algido), ma solo grande ed essenziale musica, con momenti capaci di rapirti, di portarti in un mondo parallelo dove immergersi nella magia della chitarra che s’inerpica su bellissime scale blues, percorse senza la fretta e l’ansia della performance mirabolante. Grande tecnica ma anche grande cuore, con un forte e confortevole calore. Una dimostrazione di elegante sostanza, di valore assoluto della musica fatta come ormai non capita più di sentire e forse neanche di godere.
Il pubblico, ovviamente non giovane, ha apprezzato e applaudito un artista da sempre mitizzato e amato che con le sue esecuzioni e composizioni ha accompagnato gli anni giovanili della propria vita.
Un concerto che resta nel cuore.
SCORE: 9,00
Recensione di Luca Trambusti per musicadalpalco.com (Clicca per leggere l’intero articolo)
LA SCALETTA
Tearing Us Apart
Key to the Highway
I’m Your Hoochie Coochie Man
River of Tears
I Shot the Sheriff
Acoustic Set:
Country Boy
Nobody Knows You When You’re Down and Out
Layla
Tears in Heaven
Electric Set II:
Badge
Wonderful Tonight
Cross Road Blues
The Sky Is Crying
Cocaine
Encore:
High Time We Went
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