MANNARINO il nuovo disco “V” raccontato traccia per traccia
MANNARINO fa il suo ritorno con un disco dal titolo “V” (in uscita venerdì 17 settembre 2021) . L’album è stato anticipato dai singoli Africa e Cantarè.
Prodotto dallo stesso MANNARINO, registrato tra New York, Los Angeles, Città del Messico, Rio De Janeiro, l’Amazzonia e l’Italia e il coinvolgimento – su alcuni brani – dei produttori internazionali Joey Waronker (Beck, REM, Atoms for Peace) e Camilo Lara (Mexican Institute of Sound) oltre che di Tony Canto e Iacopo Brail Sinigaglia, l’album è un invito ad appellarsi alla saggezza ancestrale degli esseri umani.
Un disco che parla le lingue del mondo, intriso di suoni di foresta e voci indigene registrate in Amazzonia. Mannarino va alla ricerca della sorgente tribale e atavica dell’umanità, proposta come unico e potente antidoto contemporaneo alla brutalità del disumano. Natura, patriarcato, animismo, femminilità, rapporto uomo-donna, sono questi solo alcuni dei temi affrontati dal cantautore nel disco più politico e visionario della sua carriera dove l’amore, l’irrazionale e un senso magico della vita diventano strumenti reali di decolonizzazione del pensiero e di resistenza umana.
“V” come:
Venere Voce Vita Ventre
Valore Volume Veleno
Violenza Villaggio Vertebre
Vagina Vulcano Vagabonda
Vento Vene Vegetazione
Vanità Verbo Verità
LA COVER
La cover del disco raffigura una donna combattente, guerriera. L’immagine è l’unione di due elementi: la donna e la resistenza indigena fusi insieme in un’azione, quella di calarsi il passamontagna – o forse di toglierlo – immagine evocativa di una entrata in azione, un’azione che è difesa non violenta, poetica e ispiratrice. Calarsi il passamontagna per andare in guerra o toglierlo per mostrare e difendere la propria identità? Un’immagine contemporanea che trova la sua forza in una nuova tribalità, allo stesso tempo antica e futura.
IL DISCO RACCONTATO TRACCIA PER TRACCIA
AFRICA
La prima canzone dell’album è una dichiarazione d’intenti, una porta che si apre, l’inizio di un viaggio. E proprio come il viaggio dell’umanità sul pianeta, anche il viaggio di questo disco comincia su terre vergini, tra orizzonti misteriosi e spiriti magici. La donna, la natura, l’irrazionale profondo, il corpo, una ritmica ossessiva che rimanda agli ancestrali rituali trance-genici. Questa è la mia Africa, l’origine comune degli esseri viventi, l’invito a partire per questo viaggio usando armi antiche nascoste nel nostro DNA, nella nostra memoria epidermica. Bene, partiamo, SIAMO TUTTI INDIGENI! E la donna è la nostra DEA.
CONGO
Vengono, Vengono, Vengono.
Questo si mormora in un paesino cristiano alla Vigilia di Natale, mentre un coro di bambini canta in chiesa e si apparecchiano le tavole piccolo borghesi.
Vengono dal mare, vengono dal deserto, vengono come le cavallette, salvate il pane!
Nascosti nel lampo della notte l’ultimo ricercato e l’ultima principessa vengono insieme, e forse è questo il “venire” che spaventa la gente del piccolo paese immaginario, “c’è un fiume rosso che sfonda le case, che affonda le chiese e arriva sempre una volta al mese”. Qui la poesia si fa irriverente e affilata, diventa sberleffo pungente e romantico. Mannarino parla ancora una volta del corpo, della passione, e dello spirito vitale degli esseri umani e della natura, che non si può fermare. La visione è apocalittica, a tratti biblica, parte dei bassifondi, salta su un letto e arriva in cielo a smascherare la bugia di Dio. Il paese viene sommerso, tutto crolla, tutto trema, vengono, vengono, e non si sanno fermare.
CANTARÉ
Il brano parte da una condizione di solitudine, ed evolve in un canto corale, come per raccontare che la voce senza il canto non ce la può fare. Tra rime in italiano, spagnolo e in romanesco, il pezzo trascina in un coro ritmato e arrembante che rimanda a una sorta di rituale collettivo atavico che celebra la forza di ogni voce umana, l’importanza liberatoria del canto, e di ogni vita che grida da sola mentre canta in un coro. E così per un momento non si è più soli. Canti di rabbia, di rivolta, di resistenza, d’amore, sono lo strumento per superare l’idea di impossibilità, ingiustizia e delusione. La voce debole e isolata trova la forza di trasformarsi in grido di battaglia, invocazione al cielo, vagito della rivolta, riscatto e speranza.
FIUME NERO
Qui, ci si addentra nella giungla, nella carne viva dell’album, nella verità dell’attimo, del corpo, verità insormontabile e irrazionale. È un fiume nero che torna in cielo, un luogo al di fuori delle leggi dello spazio e del tempo, dove l’umano si fa Dio e mischia l’acqua con la lava, e divide il lampo dal tuono. Perché il lampo e il tuono accadono simultaneamente ma l’essere umano percepisce prima la luce e poi il suono.
Questo brano mette l’uomo al centro di una cosmogonia lisergica e allucinata.
Due corpi, due esistenze, due mondi si uniscono nell’infinito, fuori dal tempo, dallo spazio, dalle convenzioni e dallo scibile umano, dove le leggi della natura primordiale e selvaggia si smuovono fra le note come frattali in un disegno quantico emozionale.
Siamo simulacri, attori che hanno indossato gli abiti della cultura, e ci prende per mano mentre entriamo in una giungla mistica, per perderci e quindi per trovarci e trovare il coraggio di sentire quello che siamo.
Tra suoni della natura e percussioni ancestrali, l’elettronica incarna e rappresenta la matematica perfetta della fisica e del mistero, e le voci e i suoni gutturali degli indigeni dell’Amazzonia registrati dal vivo dipingono il grido dell’uomo al di fuori del logos occidentale, voci che imitano i suoni degli animali, voci senza sintassi, come i corpi degli amanti.
AGUA
Gli occhi di Iracema sono d’acqua”
La canzone parte sommessa come lo stillicidio di una lacrima, e prende le mosse dell’immagine di Iracema, la protagonista indigena del romanzo omonimo di José de Alencar.
In un susseguirsi di frasi archetipiche mentre la musica si arricchisce e si ingrossa come un fiume, il brano avanza inesorabile verso una celebrazione-preghiera alla potenza vitale dell’acqua.
“Agua de cielo agua de fuego”
Una foresta sonora si costruisce e prende forma.
E la corsa del fiume finisce in un outro che sa di presa di coscienza, di mare calmo. Noi siamo Iracema, tutti noi siamo indigeni, e il potere colonizzatore ha scambiato l’acqua del cielo con l’acqua del fuoco, l’aguardiente.
“Uno spirito da bere”
Ancora una volta la storia e il destino degli indigeni fa da specchio alla storia di tutta l’umanità.
E ancora una volta il rapporto tra un uomo e una donna è una via di fuga e di salvezza.
“La croce poi la spada, poi la gabbia, e uno straccio per coprire questa macchia”
In due versi l’autore descrive secoli di colonialismo, ma quello che sembra voler dire è che se tutti noi siamo indigeni, allora tutti siamo in qualche modo colonizzati.
L’ultima parola della canzone è “acqua”, un approdo antitetico al grido dei conquistadores “terra!”.
La potenza della natura viene sublimata da voci di donne guerriere, commovente il contributo delle donne indigene combattenti “As Karuanas”.
AMAZÓNICA
Registrata in Amazzonia nella regione del Tapajos, la voce delle donne indigene “AS KARUANAS” canta un testo scritto con Mannarino.
Kaáeté usapi uikú
Suú-itá uikú umanú
Kaáeté ēbira-itá uyaxiú
Kaáeté ēbira-itá
Kaáeté yusapi uikú,
Suú-itá uikú umanú,
Kaáeté ēbira-itá uyaxiú
Kaáeté ēbira-itá uyaxiú
-Le foreste bruciano
Gli animali muoiono
Le figlie e i figli dell’Amazzonia piangono
La canzone è un grido calmo, e bagnato di pianto, che sale dal centro della Terra e vuole dire al mondo di aprire gli occhi.
La Regione del Tapajos è una delle zone più colpite dalle politiche anti-indigene del governo Bolsonaro in Brasile. Le cantanti del brano hanno perso amici e familiari nella lotta (invisibile in Occidente) che i garimpeiros portano avanti contro i resistenti indigeni.
L’attacco alla terra indigena e alle risorse naturali dell’Amazonia si sta trasformando in un vero e proprio genocidio.
BANCA DE NEW YORK
Registrata tra Roma e Città del Messico, frutto della collaborazione con “MEXICAN INSTITUTE OF SOUND” la “BANCA DE NEW YORK” è un esperimento ironico e allucinato.
Unire il registro più romanesco e radicale con un mondo sonoro acido e “trippy”, ispirato al Mississippi e ai campi di cotone.
Uno zoom-in ci avvicina a una piccola esistenza ai margini dell’impero, e si canta di drammi e tragedie e grandi felicità personali che mai nessuno saprà.
I diamanti del povero sono i denti con cui sorride e in una doppia chiave di lettura l’autore parla della ricerca della vera ricchezza.
VAGABUNDA
Man mano che il disco scorre si percepiscono vari sottotesti, si sente serpeggiare la crisi di un uomo e simultaneamente apparire l’immagine di donna, Dea, giungla rigogliosa e ipnotica.
Qui in Vagabunda questa immagine esce fuori in maniera potente.
C’è un uomo che cerca rifugio e salvezza dalle sbarre della ragione in una femmina di giungla.
C’è un filo invisibile che lega il disco, un energia erotica e femminile che ti tiene in piedi in questo mondo di suoni e parole.
Se in Fiume Nero la batteria urbana di Joey Waronker dialogava con il brasilian funk, qui il samba si mischia con la dub-reggae, e ancora una volta suoni di giungla e voci indigene si intrecciano ai suoni elettronici del moog e alle programmazioni.
È una giungla carnosa e ipnotica dove la salvezza passa per il corpo e la sensualità viene dalla ribellione.
BALLABYLONIA
Il viaggio continua con la storia di una ragazza che dalla giungla viene attirata dalle luci della grande città, del villaggio globale.
È una Iracema contemporanea e futura, che a suo modo affronta il grande serpente, viene avvolta dalle sue spire in una danza frenetica ed elettrica.
E così l’euforia al neon maschera pericoli e fregature, è un altro tipo di giungla, ma molto più pericolosa.
e così quello che sembrava un amore si rivela uno sfruttatore, e Miss Lova Lova diventa Miss Loca Loca, una “garota de Ipanema” sotto ad una doccia ghiacciata, con tante lingue diverse nella testa che non dicono niente, e il suono più comprensibile e significante ad un tratto sembra quello del tamburo lontano della sua tribù.
BANDIDA
Ancora una donna, un’altra, o la stessa poco importa, perchè ormai a questo punto del disco è chiaro che l’immagine di donna che ci sta guidando è un’immagine universale, un’icona come quella della copertina.
Iconica è anche la nostra “Bandida”, la fotografia della ribellione al sistema patriarcale, in spagnolo perchè oggi è dall’America Latina che arriva il grido di battaglia ed è da Paesi come Cile e Colombia che arrivano anticorpi nuovi. Una cumbia elettronica, un suono di favela, l’incursione del “Colectivo Las tesis”. È ancora una volta la voce di una donna nel chorus. A questo punto del disco siamo lontani. Abbiamo perso il controllo e c’è una donna al comando. Una Bandida perchè è di questo che abbiamo bisogno.
“¿Educar a una chica? Desarmar a una mujer” ((Educare una bambina? Disarmare una donna)Quando l’apparato statale e religioso di uno Stato diventa il vero stupratore, quando la legge discrimina, quando la cultura dominante relega la donna al ruolo di subalterna, di Maria Vergine, di madre, la ribellione e il rifiuto diventano l’unica vera salvezza.
Questa immagine di donna indigena, ancestrale, futura, guerriera per natura, e ribelle per cultura, forte e risoluta è l’immagine umana del disco.
Immagine umana che trova la sua corrispondenza più intima nel mistero della giungla, nel caos delle stelle, nel tuono celeste. Sono crollati i monoteismi, resta l’insaputo, il mistero, l’animismo, e la spinta vitale che ci porta tutti avanti. In testa, a guidare questa folla, c’è lei, colorata e furiosa, Bandida!
LEI
Questo è l’epilogo ideale del disco. L’immagine della donna diventa l’immagine di tutte le donne, e si sublima in una forza eterna, creatrice, distruttiva, creativa.
La crisi di un uomo di fronte all’immagine della donna rappresenta una crisi storica e sociale, e la lotta di lei diventa un messaggio alle generazioni future. LEI: Bandida, Agua, Vagabunda, Ultima Principessa, Voce di Amante, Suono di Foresta.
“Lei lasciò solo una scritta sul muro, pagheranno caro pagheranno tutto, voi picchiate duro, aprite una breccia, e vedrete il futuro”.
LUNA
Lei è sparita. Il disco concettualmente è chiuso. Restano i titoli di coda, LUNA.
Una ballata struggente sulla separazione, sulla solitudine. C’è un uomo solo davanti alla luna. Questa canzone, e l’ultima del disco “Paura”, rappresentano il ritorno alla realtà, la presa di coscienza. È come se alla fine del viaggio si aprissero gli occhi, per vedere, per agire, per portare il sogno nella realtà.
PAURA
E adesso… “non avere paura alcuna”.
IL TOUR
Mannarino presenterà il disco nel 2022 sui più importanti palchi italiani in un tour di 9 date, organizzato e prodotto da Vivo Concerti.
Spostamento data in via di definizione || Verona @ Arena di Verona
Giovedì 17 febbraio 2022 || Roma @ Palazzo dello Sport
Venerdì 18 febbraio 2022 || Roma @ Palazzo dello Sport
Domenica 20 febbraio 2022 || Napoli @ PalaPartenope
Giovedì 24 febbraio 2022 || Bari @ Palaflorio
Sabato 26 febbraio 2022| Assago (MI) @ Mediolanum Forum
Sabato 5 marzo 2022 || Torino @ Pala Alpitour
Lunedì 7 marzo 2022 || Firenze @ Nelson Mandela Forum
Venerdì 11 marzo 2022 || Catania @ PalaCatania
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