“PUNK! Anarchì in Italì”: quattro chiacchiere sul PUNK
Da “Germi” si è parlato di Punk in occasione del talk “PUNK! Anarchì in Italì” in compagnia dello scrittore Stefano Gilardino e Manuel Agnelli: un excursus sul fenomeno in Italia per raccontare come eravamo ieri, come siamo oggi e per farci qualche domanda su domani.
Se dici PUNK, il pensiero va subito oltremanica, destinazione Londra, al 430 di King’s Road. A nessuno viene in mente di fermarsi un po’ prima, per esempio a Bologna, o chessò, a Pordenone. Proprio nella cittadina friulana, tra 50.000 anime, alla fine degli anni Settanta si nascondevano più individui “marci, sporchi e ribelli” di quanti se ne contassero sull’intero territorio nazionale. Eccoli qui, i punk nostrani, i Johnny Rotten “dietro casa”, quelli che Stefano Gilardino e Manuel Agnelli ci hanno raccontato nel locale milanese “Germi”, in occasione del talk “PUNK! Anarchì in Italì”.
Ebbene sì: anche in Italia abbiamo avuto il nostro piccolo grande movimento punk e abbiamo fatto le nostre piccole grandi imprese punk. Per esempio, racconta Gilardino, proprio da Pordenone partirono le due band del movimento “The Great Complotto” a bordo di un furgone carico di dischi, direzione Londra. L’idea era quella di attraversare la Francia e arrivare nella capitale inglese per esibirsi e vendere gli album. Nonostante l’idea avveniristica, alla dogana furono fermati per un controllo, e il prezioso carico fu sequestrato perché ritenuto oltraggioso. Provati dalla perdita, i ragazzi non si sono dati per vinti e hanno proseguito il viaggio. E a Londra ci hanno suonato, sotto il ponte di Aklam a Portobello, con strumenti di cartone improvvisati. Time Out, a suo tempo, definì quel concerto “Il peggiore dell’anno”. A loro poco interessava del risultato. Mica volevano essere fighi, volevano farcela, e c’erano riusciti. Anche senza una lira, anzi, una sterlina guadagnata.
Questo e molto altro Gilardino e Agnelli lo hanno raccontato ieri, e si può leggere nei libri che il giornalista ha presentato: due volumi indispensabili per chi ha voglia di saperne di più sul punk italiano e internazionale, “Storia del Punk” e “Il quaderno punk 1979-1981, la nascita del nuovo rock italiano”. Quest’ultimo prende vita proprio dal quaderno che i due fratelli Stefano e Fabrizio hanno compilato religiosamente in gioventù, raccogliendo informazioni, immagini e articoli sui nuovi gruppi della scena. Un prodotto “fatto in casa”, ad uso personale, realizzato per il mero piacere di saperne quanto più possibile e fissarlo per sempre su carta.
Se di passato glorioso si è parlato a sufficienza, non sono mancate le provocazioni di Manuel Agnelli sulle manifestazioni punk odierne, rintracciabili niente di meno che nella trap. Ed è con questa incognita a cui sembra arduo dare una soluzione, mentre ci chiediamo cos’è oggi il punk e cosa lo sarà domani, che la conclusione è unanime: il punk è nient’altro che verità, sincerità, possibilità di essere quello che si vuole, in maniera disadorna, senza maschere per apparire migliori di quello che si è. Il punk racchiude in sé tutto quello che una persona vuole essere: giornalista, stilista, cantante. Basta iniziare a farlo, per diventarlo. Così un aspirante redattore scrive e fotocopia fanzine, un fotografo prende una macchina fotografica e comincia a scattare, un Sid Vicious imbraccia un basso e tira fuori due accordi che non immagina – e non gli interessa se – faranno la storia.
E se la RAI, in un documentario del 1977, diceva che il punk era “anche uno sputo”, chissà cosa direbbe oggi. Forse la stessa cosa.