Recensione: BAUSTELLE – “El Galactico” [Traccia per traccia]
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Siamo tutti d’accordo quando diciamo che con “Elvis” del 2023 c’è stato un nuovo inizio per i Baustelle.
Anche l’ascoltatore più distratto si è accorto che due anni fa Bianconi, Bastreghi & co. ci hanno regalato un disco a tratti più pop, sicuramente più immediato, senza dubbio meno retrò.
“El Galactico”, decimo album in studio per i nostri amatissimi, è un’altra cosa ancora, che non è espressione del repertorio a cui siamo abituati né tanto meno dell’ultimo esperimento del 2023. Il nuovo disco dei Baustelle ha sonorità anni ’60 che trasposte nel 2025 sono più che mai attuali, che è l’obiettivo di ogni musicista quando decide di lavorare su un suono “storico”. Con l’aiuto di Federico Nardelli, Francesco Bianconi ha raggiunto quell’equilibrio lì senza snaturare i Baustelle della loro essenza, che ce li fa apprezzare ancora, venticinque anni dopo quel “Sussidiario illustrato della giovinezza” del 2000, rimasto nel cuore dei fan per sempre.
Raccontiamolo questo disco, e prepariamoci ad ascoltarlo nei prossimi appuntamenti: Il Festival del prossimo giugno, il tour estivo, i palasport a dicembre.
Facciamo subito coming out: i pezzi che ci sono piaciuti di più sono cinque, e nello specifico i tre singoli e poi “Filosofia di Moana” e “Lanzarote”.
“Spogliami” è una traccia ricca di citazioni, di quelle che dici: “oh ma cosa ha fatto a pensare una cosa così?”. Tipo, ad esempio, “Ë meglio il nucleare/dell’autofiction scritta male”. Il citazionismo che lascia il posto alla cronaca, con “Una storia”, che ha parole forti, un suono estraneo al resto del disco, sarà che è più una ballad vintage, sarà che un racconto struggente e attuale. L’ultimo singolo in ordine di uscita è “L’arte di lasciare andare” (che è meglio di scopare) che è già un claim e, dai più, il singolo con il testo migliore del disco.
Il singolo, appunto. Perché l’ascolto completo ci regala quella che è la traccia più iconica. “Filosofia di Moana” è il mondo come se fosse visto da Moana Pozzi e dobbiamo immaginarcela come se stesse parlando dal letto di morte. Aggiungiamoci la voce di Rachele Bastreghi che in questo pezzo è predominante. Il risultato è incredibile. Come lo è anche quello di “Lanzarote”, altro brano cantato da Rachele, pieno zeppo di antimoralismi, di critica sociale, di rimandi a sonorità differenti da quelle del resto delle tracce fino a quel momento ascoltate (è il terzultimo pezzo). E il penultimo? È “La nebbia”, eccola la ballad delle ballad, eccoli i Baustelle più autentici.
E che bello che ci siano ancora e che ci siano in questo modo qua: attuali sempre, fuori luogo mai. Li ascolti e ti senti a casa, anche se a casa tua non metti piedi da un pezzo.
TRACCIA PER TRACCIA RACCONTATA DAI BAUSTELLE
PESARO
Eravamo a Pesaro per suonare all’alba a un concerto. Siamo arrivati il giorno prima, in una sera magnifica di inizio estate, e appena entrato in hotel ho ricevuto una chiamata in cui mi è stata comunicata una notizia tragica. Credo che la canzone parli di questo, del provare dolore profondo mentre fuori splende il sole; e mentre vorresti morire, essere altrove, lontano dagli ombrelloni, dal vociare della gente, dall’azzurro e dal celeste, riuscire invece a trovare in qualche modo un appiglio per stare in piedi e continuare ad amare. Musicalmente, direi che è un pezzo molto indicativo del suono “Laurel Canyon” di El Galactico: riff di chitarra elettrica 12 corde, andamento folk rock psichedelico, cori alla “Pet Sounds”.
SPOGLIAMI
Una canzone sulla purificazione: mi rendo conto di quanto un po’ in tutto il disco sia ricorrente un desiderio di disintossicazione da una qualche forma di inquinamento. Siamo iper-stimolati, bombardati da comunicazione oramai solo retorica. Il linguaggio è oggi solo fatico, per dirla con Jakobson (in linguistica, “fatica” è la funzione del linguaggio propria dei messaggi che hanno il solo scopo di stabilire, mantenere, verificare o interrompere il contatto tra mittente e destinatario; avviene nelle espressioni tipo: “pronto, mi senti?”, “mi segui?”, “chiaro?”; nelle formule convenzionali di saluto e di augurio; nelle frasi che si usano per rompere il ghiaccio o mantenere in vita la conversazione, come “allora, eccoci qui, bella giornata, vero?”). Se il linguaggio è oramai solo questo, o tendente a questo, a me viene voglia di uscire dal gioco. Se manca la sostanza e tutto è solo mise en place, passa la fame.
CANZONE VERDE, AMORE TOSSICO
Un pezzo politico, forse sul senso dell’ecologia, sulla crisi ambientale ma anche sulla retorica del discorso ambientalista nato in risposta alla crisi.
Ho vissuto in paesino della campagna toscana in cui per anni sono stati usati pesticidi in maniera indiscriminata, senza che nessuno dicesse nulla, e in cui si è allevato in maniera intensiva. Gli ambientalisti dell’epoca con grande slancio se la prendevano invece coi cacciatori. Nel frattempo nei laghetti dove io e i miei amici andavamo a pescare improvvisamente venivano a galla gigantesche carpe morte. Questa è una canzone sul quanto in questo Paese dal dopoguerra abbiano governato i vecchi, e come questi vecchi per egoismo non abbiano saputo abdicare, e di conseguenza formare i giovani. È una canzone su come i giovani, non formati, non specializzati, cresciuti comodi, si siano ritrovati col disastro e la cassetta degli attrezzi per governarlo completamente vuota. Ai “giovani” (buffa categoria fatta dai vecchi) è rimasto il cinismo, che è però una categoria filosofica e non politica, e non basta purtroppo a salvare il pianeta.
FILOSOFIA DI MOANA
Volevo scrivere una canzone immaginando di essere Moana Pozzi, adottandone il punto di vista. È un personaggio che mi ha sempre affascinato: il suo modo elegante di muoversi dentro l’Impero dell’Oscenità, la sua parabola di diva, di stella cadente, l’aura di tristezza che l’ammantava. Il porno mi interessa come esempio di mercificazione, come prodotto automatico civiltà occidentale; direi che esso rappresenta forse il modo supremo in cui, nella società dei consumi e dello spettacolo, la bellezza si declina. “Porno è la bellezza se la Storia va veloce”, dice la nostra Moana, immaginata oramai morente, sul letto di un ospedale.
UNA STORIA
Come da titolo, è una storia possibile. È più nello specifico una storia di cronaca nera: c’è una ragazza, un’adolescente, che è stata coinvolta in un fattaccio di qualche tipo. Ha subito una violenza: fisica, sessuale, psicologica, chi lo sa, oppure tutto questo insieme. Questa violenza è stata documentata: forse filmata e diffusa in rete. La ragazza ci mette a conoscenza della violenza subita, della propria umiliazione, della propria vergogna. È stato compiuto un sacrificio “social”; si è messa in scena una nuova (ordinaria) tragedia. Da sempre cerco un modo sperimentale di approcciarmi alla forma-canzone; cerco di suggerire delle interpretazioni, e una narrazione che giochi a scombinare i canoni; qui non si fa eccezione, anzi, Una storia è forse la storia più “aperta” che abbia mai scritto. Musicalmente, è una ballata lenta, e ci trovate dentro echi di Folkstudio, gli archi, il clavicembalo e l’Hammond (suonati da Alberto Bazzoli), e di nuovo, i coretti alla Beach Boys.
L’IMITAZIONE DELL’AMORE
Il testo è abbastanza chiaro, in questo caso. Lo spunto è la sensazione, da ascoltatore di musica italiana, di assistere a un sovraffollamento di canzoni pop il cui unico oggetto siano le dinamiche amorose. E di come il tema amoroso sia diventato monopolista all’interno dei temi possibili che la canzone può trattare. Inoltre: mi pare di assistere a una invasione di un solo modo di trattare l’amore; un modo “vezzeggiativo” di trattare l’amore che porta alla formazione di un unico grande genere. Il risultato è che tutto è smussato, che non c’è più giusta differenza, e tutto è uguale e ciò che è diverso e perturbante fa paura e va evitato. “L’amore imitato” è il contrario dell’amore, ed è la metafora di un mondo in cui il desiderio di tutti è quello di essere confortati e non stimolati, il desiderio di essere uguali e non diversi.
L’ARTE DI LASCIAR ANDARE
L’arte di lasciar andare è una canzone folk rock; la volevamo scintillante e leggera, breve come la giovinezza, veloce come un giro in macchina sulla Pacific Coast Highway e sull’Aurelia. Ora, se proprio vogliamo dare al testo una spiegazione sintetica, direi che si tratta di parole con le quali cerco di raccontare la mia difficoltà di stare al mondo. Penso che come esseri umani siamo tutti noi agitati da demoni che ci spingono alla ricerca spasmodica del senso, e che spesso ci fanno girare a vuoto come trottole. “La bussola gira impazzita all’avventura”, diceva Montale. Nella canzone si parla di un livello di frenesia che può spingere al tormento, certo. Non intendiamo però riferirci a una diffusa moda dell’uomo metropolitano contemporaneo, ovvero quella della volontà sedicente eroica di “riprendersi il proprio corpo”, “riappropriarsi del tempo libero”, “ricongiungersi con la lentezza”, magari licenziandosi da un lavoro alienante per cercarne un altro in campagna in mezzo ai polli. No (arriverà un giorno in cui saremo stanchi anche della lentezza). Ci interessa di più l’aspetto filosofico e cosmico della faccenda. Ed è per questo che nella canzone cerchiamo di descrivere a modo nostro, su un tappeto di arpeggi di Rickenbacker, il sudar sangue e le capriole derivanti dal non saper accettare la morte.
PER SEMPRE
Volevamo una coda strumentale, sontuosa, orchestrale e iper arrangiata che arrivasse a sorpresa sul finale di L’arte di lasciar andare. Volevamo lo struggimento di certe colonne sonore che amiamo, lo stile di Ennio Morricone (ebbene sì, sempre lui); volevamo evocare una California immaginaria, la nostra Los Angeles ideale, fatta di tutto il meglio dei sixties, di Brian Wilson, Jack Nietzsche, Glen Campbell, fatta delle lacrime (non sai se di felicità o di dolore) che ti dà ogni volta l’ascolto di Expecting to fly dei Buffalo Springfield. Se El Galactico ha un suono, è sintetizzato qui.
GIULIA COME STAI
Una canzone d’amore per una persona in particolare, e per tutti. Ma anche la canzone che vorrei che qualcuno dedicasse a me. Mi piacciono a volte i testi così, quelli che sembrano dire “coraggio, non buttarti giù”. Quelli che ti abbracciano quando sei solo e disperato e ti fanno segno di non mollare. Musicalmente lennoniana (ma anche harrisoniana, e quindi, vabbè, beatlesiana), con un grande lavoro chitarristico di Claudio e Lorenzo Fornabaio.
LANZAROTE
L’idea era quella di scrivere una specie di nuova “Azzurro”. Rachele presta la voce a un personaggio che rimane da solo in una città deserta a causa delle vacanze estive, e forse a causa di altre “vacanze”, di altre mancanze di significato.
LA NEBBIA
Una ballad pianoforte e voce, con l’orchestra arrangiata in maniera hollywoodiana da Federico Nardelli e me. Un elogio della nebbia, l’unico elemento del reale capace di mitigare l’orrore della realtà nel completo suo disvelarsi.
NON È UNA FINE
Viaggio psichedelico finale del disco. Uno strumentale in cui a ogni ripetizione di giro armonico entrano piccole frasi melodiche e timbri nuovi. Una delle composizioni più stratificate della storia dei Baustelle, con band, orchestra, Enrico Gabrielli ai fiati e al fischio, Julie Ant alle percussioni ultrariverberate, Milo Scaglioni al basso Mustang sensuale.
DA ASCOLTARE SUBITO
Filosofia di Moana, Una storia, Lanzarote
DA SKIPPARE SUBITO
Assolutamente nulla!
SCORE : Voto 8,00
1. Pesaro
2. Spogliami
3. Canzone verde, amore tossico
4. Filosofia di Moana
5. Una Storia
6. L’imitazione dell’amore
7. L’arte di lasciar andare
8. Per sempre
9. Giulia come stai
10. Lanzarote
11. La nebbia
12. Non è una fine
TRACKLIST
DISCOGRAFIA
2000 – Sussidiario illustrato della giovinezza
2003 – La moda del lento
2005 – La malavita
2008 – Amen
2010 – I mistici dell’Occidente
2013 – Fantasma
2017 – L’amore e la violenza
2018 – L’amore e la violenza – Vol. 2
2023 – Elvis
2025 – El Galactico