Recensione: BECK – Hyperspace
Di Beck, una cosa è certa. E no, non è il suo rapporto con Scientology, di cui ancora dobbiamo capirci qualcosa, bensì la sorpresa che riserva ogni suo disco. Impossibile prevederne il contenuto, facile aspettarsi qualcosa di strabiliante. Di Beck, ne esistono mille tipi diversi. Quello di Hyperspace, è la quattordicesima versione.
La mia storia con Beck inizia esattamente vent’anni fa, con una tastiera e i primi rudimenti di internet. Ero da poco tornata da un viaggio in Spagna con una passione per la tortilla di patate, la consapevolezza di non essere immune dalla cellulite, un (non più) fidanzatino dedito al ghosting e un disco dei Jamiroquai comprato a Madrid (“Synkronized”, il mio album di passaggio dalle boyband alla musica seria).
Su un forum di appassionati di Jay Key conobbi “La Miky” da Bologna. Cominciò un prolifico scambio e-pistolare in cui parlavamo soltanto di band e cantanti. La Miky mi raccontò che le piacevano anche Marylin Manson e Beck (sull’eterogeneità dei suoi gusti ci sarebbe da parlarne, in effetti, ma le sarò sempre grata per avermi insegnato che non si può amare un solo genere musicale). Disse che mi stava preparando una compilation e che me l’avrebbe spedita presto, ma non lo fece mai. Poi cominciò la scuola, con La Miky non ci sentimmo più, in compenso rimase la curiosità per Beck, non quella per Manson. Ci pensò MTV a sopperire alla lacuna, con il video di “Sexx Law”.
Da quel lontano 1999 Beck ha sfornato altri 6 dischi, ognuno bello a suo modo, fino all’ultimo, “Hyperspace”. La novità è Pharrell Williams, che lo ha coscritto e coprodotto. Non mancano altri nomi importanti, tra cui Chris Martin e Terrell Hines, oltre a Greg Kurstin, Paul Epworth, Cole M.N.G. e Sky Ferrara. Chi cerca qualcosa di vagamente simile a “Colors”, dovrà mettersi l’anima in pace. Questo disco è diverso. Né peggiore, né migliore, perchè Beck è uno solo ma anche tanti, e per questo tratto distintivo, che è anche la sua “coerenza”, non ha senso ricercare il passato.
“Hyperspace”, già dal titolo, ci dà l’idea di qualcosa di più introspettivo, lento, fluido. Se “Colors” faceva venir voglia di alzarsi in piedi, con “Hyperspace” si ha voglia di sdraiarsi. Resta il fatto che si vola nettamente al di sopra della musica “l’altra”, perché con Beck si corre sempre su un altro pianeta, dove non ci sono stili predefiniti o mode preannunciate. “Colors” era un disco più facile, omogeneo, democratico. “Hyperspace” torna a selezionare il suo auditorio, perché chiede uno sforzo in più. Si capisce già dalla opening track, una degna introduzione elettro-onirica a questo lavoro in cui due anime – Beck e Pharrell – si percepiscono sia distinte che unite. Meno orecchiabilità concessa, più concentrazione richiesta. Meno pop, più ambient.
Meno Beck, più Beck.
Score: 9,00
Tre brani da ascoltare subito: Saw Lightning – Star – Stratosphere
Quotes:
Collision course with the sun
Far above the ground
Halfway to oblivionIn the stratosphere
There’s nowhere to go from here
In the stratosphere
I’ll be back home another year
Earth below to comfort me
Needle to the spoon
Strike a match and let it be
There’s nowhere to go from here
In the stratosphere
Somewhere I can disappear
- Hyperlife
- Uneventful Days
- Saw Lightning
- Die Waiting
- Chemical
- See Through
- Hyperspace
- Stratosphere
- Dark Places
- Star
- Everlasting Nothing
Discografia:
Golden Feelings (1993)
Stereopathetic Soulmanure (1994)
Mellow Gold (1994)
One Foot in the Grave (1994)
Odelay (1996)
Mutations (1998)
Midnite Vultures (1999)
Sea Change (2002)
Guero (2005)
The Information (2006)
Modern Guilt (2008)
Morning Phase (2014)
Colors (2017)
Hyperspace (2019)
Video: