Recensione concerto – MUSE potenza e completezza formato live [Galley e scaletta]

Recensione concerto – MUSE potenza e completezza formato live [Galley e scaletta]

Dopo aver riempito lo Stadio Olimpio di Roma i Muse replicano a San Siro a Milano dove tornano a distanza di 4 anni (periodo in cui è successo di tutto). Si erano infatti visti nel catino del capoluogo lombardo il 13 luglio 2019.

Il trio inglese ha una gran fama per la qualità degli spettacoli, per il loro livello di spettacolarità e anche in questo tour non fanno mancare nulla al loro pubblico.

I Muse, vincitori di due Grammy Awards, un American Music Award, sette MTV Europe Music Awards, due Brit Awards, diciannove NME Awards e sette Q Awards, il 25 agosto 2022 hanno pubblicato il loro ultimo album “Will Of The People”, che da il titolo al tour che vede la band impegnata.

Dunque, come al solito, l’attesa per loro era alta.

Alle 21:23 s’inizia subito in maniera spettacolare e con i soliti (grossi) problemi di audio e la chitarra super effettata che inizia a grattugiare sin da subito (almeno così sembra e s’intuisce). Sul video un logo con l’acronimo in fiamme WOTP (“Will of the people”, il titolo del brano di apertura e del loro ultimo disco) con un acrobatico Bellamy mascherato

Con “Histerya” e più avanti “Time is Runnig Out” e in tanti altri momenti, quando arrivano le hit del trio, tutto si trasforma in un coro gigantesco “spazzolato dalle luci” sparate dal palco, con Bellamy che lascia “la palla” ai 60.000 di San Siro.

Dopo la prima parte tirata una breve pausa e il suono migliora… si fa per dire. Non sarà mai perfetto.

Stratificazioni di melodie vocali (con un falsetto inconfondibile e altissimo) e di assoli di chitarra il tutto su una base ritmica implacabile, con un basso che ti arriva nello stomaco (e spesso si prende la scena superando l’ambito ritmico, diventando solista) e una batteria che martella nella testa, questo è in sintesi il “modello” Muse.

Si parte con un suono di grande potenza, prossimo al metal, la chitarra di Bellamy (dopo che si è iniziata a sentire e a riconoscere) spara assoli furibondi, alternandoli con riff esplosivi, pesantissimi, spesso accompagnati da lance di fuoco sparate dal palco. A volte invece con la chitarra ci gioca insieme al pubblico come nell’intro di “Plug In Baby”. A sostenere il trio e a riempire nei momenti meno potenti, e in quelle occasioni in cui Matt si assenta da chitarrista assumendo il solo ruolo di cantante, si aggiunge una tastiera (Dan Lancaster).

A dominare tutto sono le luci, con esplosioni multicolori, incessanti nei loro cambi, presenti ovunque, anche sulle torri di rimando del suono sistemate a fine del prato. Ci sono luci sugli strumenti, sulle maschere che indossa Bellamy, sugli indumenti, ai bordi della passerella che s’incunea nel pubblico, sul pavimento.

Il tiro è potente, incessante e martellante, i brani si susseguono all’inizio pesanti come metallo, poi con qualche “ammorbidimento” e maggiori sfumature. “Complianace” è il momento più “pop” con tanto di stelle filanti sparate sul prato con Bellamy, vero mattatore, che invita il pubblico a cantare e a battere le mani al ritmo del brano.

Sulle note della melodica e intensa “Verona” lo stadio si accende con le torce dei telefoni mentre Bellamy canta su un tappeto di tastiere elettroniche per poi arrivare alla fine della passerella ed essere ricoperto da una quantità industriale di coriandoli che si spargono per tutto lo stadio. Mentre “Dark Side Alternative reality” è uno strumentale psichedelico sognante che unisce un arpeggio di tastiera con quello di una chitarra che poi sul finale torna a grattare.

In scaletta per questo tour trovano spazio sette brani dell’ultimo album che si uniscono a vecchie composizioni in un live che ripercorre la carriera pluridecennale della band con quelli che sono ormai diventati dei classici del rock contemporaneo, veri e propri inni da stadio, dotati di grande esplosività e spettacolarità.

Nel suo svolgimento il concerto parte al fulmicotone, ha un inizio muscolare, quasi prepotente, per assumere via via sfumature e contorni differenti, con un andamento quasi elastico tra accelerate esplosive e brani più “strutturati”. Ci sono momenti corali, in cui la partecipazione del pubblico è spettacolo nello spettacolo, con la struttura dello stadio che balla insieme ai presenti inequivocabilmente coinvolti. In altri episodi si viene come travolti dalla potenza sonora generata dalla macchina Muse. Ancora a volte prevale un certo spirito “progressive” o psichedelico, senza dimenticare la morriconiana armonica sulla lunghissima conclusiva “Kinights of Cydonia”.

Tra tutto questo il denominatore comune è la spettacolarità dello show, in una perfetta unione tra musica e coreograia, senza tuttavia raggiungere l’effetto “baraccone” (alla Kiss per intenderci… con tutto il massimo rispetto per Simmonds e soci). Qui c’è tanta sostanza in ciò che propongono dal palco, nella ricerca dell’impianto scenografico, della produzione e anche nei contenuti delle canzoni. I Muse puntano sulle luci, che sono l’unico vero elemento scenografico, a differenza del precedente passaggio in Italia quando appariva addirittura un mostro a volersi mangiare la band. Oggi il mostro sul finale è apparso, ma non era affamato.

SCORE: 8,00

Recensione di Luca Trambusti per musicadalpalco.com (Clicca per leggere l’intero articolo)

LA GALLERY

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Immagine 4 di 8

LA SCALETTA 

Will of the People
Interlude/ Hysteria
Drill Sergeant/ Psycho
Map of the Problematique
Resistance
Won’t Stand Down
Kill or Be Killed
Compliance
Thought Contagion
Verona
Interstitial ‘Parkour’
Time Is Running Out
The 2nd Law: Isolated System
Undisclosed Desires
You Make Me Feel Like It’s Halloween
Madness
We Are Fucking Fucked
The Dark Side
Supermassive Black Hole
Interstitial ‘Driving’
Plug In Baby
Behold, the Glove
Uprising
Prelude Starlight
Simulation Theory Theme 
Kill or Be Killed
Knights of Cydonia

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