Recensione: FOO FIGHTERS – “But Here We Are”

“But Here We Are”, siamo ancora qui. Nonostante tutto. E in quel “nonostante”, sono racchiusi gli avvenimenti che hanno segnato uno dei periodi più duri per i Foo Fighters, in particolare per il frontman Dave Grohl.

Da un lato, la prematura dipartita dell’amico di una vita e batterista Taylor Hawkins, dall’altro la perdita della sua amatissima madre.

Non dimenticherò mai il giorno in cui mi imbattei nell’aereo più bizzarro che avessi mai visto: un intero equipaggio di personaggi sui generis – e altrettanti passeggeri – messo in pericolo niente di meno che dai Tenacious D. Era il video di “Learn To Fly”, e io una quasi adolescente. Lì capii che il rock poteva prendere una piega diversa da quella delle band a cui ero abituata, tutte bronci e video ricchi di oscurità e tetraggine (e non avevo ancora scoperto i Cure, per dire).

Coi Foo Fighters, capì, il rock poteva essere anche puro divertimento (e dire che proprio Dave Grohl era stato nella stessa band di uno dei soggetti più dannati della storia della musica).

E infatti, anche questa volta che i brani non possono che convergere in una sola direzione, quella della perdita, i Foo Fighters fanno centro e lo fanno a modo loro, con l’ inconfondibile cifra stilistica che da sempre li contraddistingue: “But Here We Are” è un album ricco di suggestioni malinconiche, che racconta inevitabilmente la mancanza, il vuoto che le persone scomparse lasciano nella vita di chi li ha avuti accanto, eppure senza mai scendere in melodrammi, banalità o clichè. Non è un disco di depressi sull’elaborazione del lutto, anzi: dimostrano una forza d’animo invidiabile e una reattività incredibile, sin da quando hanno annunciato il nuovo batterista Josh Freese, ora in tour con loro.

Del resto la copertina dell’undicesimo disco dei Foo Fighters è tutta bianca, così come il bianco è la somma di tutti i colori: luce, dunque, anche questa volta che sarebbe più facile cedere al buio. Perchè si va avanti, e “Rescued”, opening track dell’album, ne è la dimostrazione (“We’re all free to some degree to dance under the lights / I’m just waiting to be rescued / bring me back to life”). “But Here We Are” è indubbiamente un disco pop, estremamente facile nei testi – com’è usanza di Dave Grohl, che ai virtuosismi lirici preferisce la semplicità delle parole – eppure con dei momenti intensi e molto alti, come nel brano “Show Me How”, a cui partecipa Violet, figlia dei frontman, e “The Teacher”, un pezzo di 10 minuti dedicati a sua madre, che era appunto un’insegnante.

Perdita, si, ma soprattutto rinascita, ritorno, vita. Il tutto detto con autenticità, senza giri, in modo diretto, con la solita energia tipica della band di Seattle. Un album annunciato senza rumore, quasi a sorpresa, per evitare di ridurre la musica a parole inutili e speculazioni facili, che vede Dave Grohl nuovamente al timone della sua batteria in fase di registrazione. Forse proprio per rendere omaggio all’amico.

“But Here We Are” non sarà il disco della svolta, non sarà la pietra miliare, ma è un album importante, necessario, per riflettere e comprendere che non tutto è perduto, nemmeno quando sembra che non esiste via di scampo: i Foo Fighters ci sono ancora. Nonostante tutto.

SCORE: 7,00

TRE BRANI DA ASCOLTARE SUBITO:

“Rescued” – “But Here We Are” – “The Teacher”

UN BRANO DA SKIPPARE SUBITO:

Nessuno!

QUOTES:

(The Teacher)

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