SANREMO 2019: la pagella dei look
La serata è un po’ sottotono, nessuna canzone ti ha preso il cuore, pensi di consolarti con gli abiti e invece…manco quelli. Dove sono le mise trasgressive che fanno discutere (Loredana, almeno tu!)? Che fine hanno fatto gli abiti da gran scena che povera zia mia, ti imploravo di cucirmeli in miniatura per la mia Barbie?
Sarà perchè ci sono pochissime donne? O perchè le stylist hanno mangiato pesante?
La prima serata del Festival di Sanremo 69 ha lasciato dietro di sé una scia di tristezza e pesantezza che, mi riferiscono (io dormivo già), non si è ripresa nemmeno col Dopo Festival (di solito una cena troppo insignificante si salva col dessert. Ieri, ahimè, no).
Ma andiamo subito ai voti, in ordine di esibizione. Nota bene: esclusi conduttori e super ospiti!
FRANCESCO RENGA. Mi piace. Col suo abito grigio antracite è rock, ma non troppo, elegante ma con guizzo. I bordi della giacca sono fintamente sdruciti, così come la sua voce, priva di orli o cuciture ordinate che possano contenerla. E poi ditemelo: a lui cosa serve oltre al sorriso e ai riccioli scuri? SETTE E MEZZO
NINO D’ANGELO E LIVIO CORI. Uno dice “ricambio generazionale”, ma le nuove generazioni hanno ancora molto da imparare dai nonni. Nino si presente in tenuta da intellettuale salottista, di total black vestito e munito di lupetto. Ma non ulula. SEI. Voleva forse controbilanciare il giovane Cori, con l’ex-voto appeso al collo? Urge miracolo, San Gennà! QUATTRO. La media fa CINQUE.
NEK. Coerente e stiloso, esattamente come ce lo aspettiamo: giacca di pelle, t-shirt, skinny, un nuovo taglio di capelli che piace moltissimo a me e poco a mia madre. Nek è come il vino, invecchia e migliora. SETTE E UN CUORE.
ZEN CIRCUS. Un po’ Jack White, un po’ The Horrors, un po’ troppi…capelli? (più guardavo Appino e più pensavo ad Eriq La Salle, rivale in amore di Eddie Murphy ne “Il Principe cerca moglie”: stessi capelli e stessa marca di lacca). CINQUE E MEZZO.
IL VOLO. Vecchiovani, questa volta un po’ più dalla parte giusta. All’abito non rinunciano, per fortuna lasciano a casa cravatta e papillon (vedremo poi). Però vorrei chiedere a Boschetto: perchè i pantaloni larghi sopra e stretti sotto? SEI MENO MENO.
LOREDANA BERTE’. Lei è la regina e tutto può. Si è fasciata di pelle e si è vestita da corsara. Oggi disegna da sè i suoi vestiti, rigorosamente cortissimi. Per l’occasione la fatina blu si è rifatta la tinta ma non ha lasciato il borsello in camerino. Cosa ci sarà dentro? Secondo me la foto di Mimì. Voto OTTO.
DANIELE SILVESTRI E RANCORE. Sembra un eterno ragazzino, Daniele. Ha il look di chi non si vuole rassegnare a crescere (una chiacchierata con i ragazzi de Il Volo, magari?): si presenta in giacca di pelle, con dettagli vistosissimi a prova di piccionaia (vedi polsini appuntiti e bottoni da pirata). “Impreziosiscono” un teschio sul petto e un paio di pantaloni trovati per caso sul divano e messi senza troppo pensarci su. TRE.
FEDERICA CARTA E SHADE. Grazie, grazie Shade per quell’arcobaleno anni Ottanta che hai indossato sotto la giacca, ci voleva. Sono un po’ meno grata a Federica in maxi dress con cappuccio da perfetta Barbie trapper: non stona con la giovinezza e con il mood della coppia, ma con tutto il resto sì. Il nero della cintura e degli stivaletti appesantisce la silhouette: meglio un paio di decolletes, la prossima volta, per non tagliare le gambe a metà. CINQUE ma solo perché Shade alza la media.
ULTIMO. Tutte le volte che lo guardo penso che sia il fratellino minore – o il figliolo ritrovato – di Fabrizio Moro. L’abito damascato non è il massimo, la giacca lunga nemmeno, l’accoppiata peggio ancora, eppure questo pugno in un occhio non fa così tanto male. Vuole fare il duro ma ha la faccia tenera. CINQUE, dai.
PAOLA TURCI. Non ha bisogno di niente se non di se stessa per essere la più elegante e bella donna del festival. La tuta total white con maxi scollatura è sublime su di lei. OTTO E MEZZO.
MOTTA. Il mio preferito. Non fa niente se non ha la giacca – le giacche a Sanremo sono tutte discutibili, meglio evitarle se il rischio è l’effetto Bisio – ma quella camicia così anni Settanta dona al suo fisico asciutto. Starebbe ancora meglio nel mio guardaroba. OTTO.
BOOMDABASH. Clericali, cardinalizi, opulenti, barocchi, sicuramente divertenti e diversi. Hanno il loro perché. Gli dò la sufficienza, SEI.
PATTY PRAVO E BRIGA. Non avevamo bisogno degli interminabili due (Tre? Quattro? Dieci?) minuti di immobilità pre-esibizione – anche i pianisti vanno in bagno – per (non) digerire il look tremendo di Patty Pravo: raso, rosso, pizzo, dread, tette. Peccato per Briga, che a suo modo era decente, ma chi l’ha visto? TRE.
SIMONE CRISTICCHI. Tutto sommato non mi è dispiaciuta la giacca blu con lavorazione dall’effetto tridimensionale. E poi diciamolo: il primo ad esibirsi senza argenteria addosso. SETTE.
ACHILLE LAURO. Non puoi aspirare alla sufficienza se ti tatui la faccia. Apprezziamo la scelta del bianco, la camicia dal colletto sacerdotale-rivisitato, ma qualcuno lo ha addirittura definito tra i più eleganti. Ma de che? E dai. Diamo a Cesare quel che è di Cesare, e togliamo a Lauro quello che non è di Lauro. TRE
ARISA. Prima che Luzzato Fegis definisse il suo look “da caposala”, ero stata più clemente, giuro. Arisa cambia ad ogni Festival, non ha un’identità stilistica precisa: un anno è bambina, l’altro femme fatale, l’altro ancora sciura, quest’anno sembra aver imboccato la strada del vintagequellobruttodellazia, almeno off stage. Questo bianco asimmetrico non è così male però. SEI E MEZZO.
NEGRITA. Prevedibilissimi, ma non ci dispiace la sicurezza. Damascato, rosso, argento. Tutti gli elementi del look rock sparpagliati tra i componenti della band. Va bene così: meglio essere prevedibili che cadere su una buccia di banana. CINQUE.
GHEMON. Non me lo toccate, non ha nulla di sbagliato Ghemon in questa mise. E’ lui: forse i più potrebbero obiettare che lo urban-street style, come si dice oggi, sia poco adatto ad un palco di Sanremo, ma ragazzi, io non ho ancora capito cosa lo sia. Quindi gli dò SETTE E MEZZO con la speranza di vederlo in smoking, alto com’è starebbe benissimo.
EINAR. Va bene, siamo a Sanremo, va bene, a Sanremo ci sono i fiori, va bene, sei giovane e ai giovani perdoniamo quasi tutto: ma la giacchina casual con i ricamini di corallini black on black era proprio necessaria? Menomale che gli occhi profondi distraggono. Però TRE E MEZZO.
EX-OTAGO. Una botta di denim da Genova, città in cui pare che il jeans fu inventato (prima che Levi Strauss se ne appropriasse per costruirci il suo impero) Non dispiacciono, tutti allegramente coordinati. Ma non vanno oltre un SEI.
ANNA TATANGELO. Non le perdonerò mai di essersi volutamente imbruttita: lei che era così bella e semplice, oggi dimostra quarant’anni portati male. Però avevo bisogno di un po’ di rouches, pizzi e volume prima di andare a letto serena. Il fisico c’è tutto, le gambe trionfano, non si può dire che non faccia la sua figura. Riesce ad essere sexy e non volgare, questa volta. Magari non avrei messo le calze velate, ma se l’effetto desiderato erano gli Anni Ottanta, allora sia. SETTE.
IRAMA. Nell’anno dell’uomo dall’accessorio ingombrante, Irama (non certo un novizio del settore, vedi orecchini feticcio) sceglie di indossare l’orologio da muro della cucina come fiore all’occhiello, anche se l’intento è nobile: richiamare il cuore di latta della protagonista della sua canzone. Ma a volte basta la canzone: il cuore si vede lo stesso. Voto CINQUE, ti salva il velluto.
ENRICO NIGIOTTI. Arrivo a questo punto esausta, ma Enrico Bellicapelli Nigiotti mi commuove e, tutto sommato, mi rappacifica con la moda uomo: ha un abito da sera accettabile. Sugli argentini non ho più la forza di commentare. SETTE.
MAHMOOD. Cosa avevo detto? Pace con la moda uomo? Non è vero. Intravedo una maglia della salute sotto una camicia di dubbio gusto, una catena penzoloni e un paio di pantaloni bracaloni. DUE, cappello da asino, e vado a letto.
THE TABBY RED CAT