SANREMO 2019: MOTTA, la penna migliore
Capita che io abbia fatto quest’intervista a Motta e che a un certo punto verso la fine mi sia venuto da piangere. “Che novità!”, dirà chi mi conosce un po’. Ma la profondità di quest’artista è davvero imbarazzante. Poi due lacrimucce le ho buttate giù lo stesso. Ma dopo averlo salutato.
A voi.
Non lo dico perché sono qui accanto a te ma penso che tu sia una delle novità musicali più fighe della musica italiana di questi anni.
Ah beh certo, lo penso anch’io (ridiamo).
Da dove viene esattamente Francesco Motta?
Musicalmente ho iniziato con il punk, nell’adolescenza hai sempre questa voglia di crearti dei nemici per trovare l’aggressività per sconfiggerli. Poi piano piano ti accorgi che questi nemici non esistono, quindi a un certo punto diventi nemico di te stesso e poi, subito dopo, inizi a volerti bene. Questo è un processo verso la sobrietà, verso l’andare a levare tutto quello che è trucco, tutto quello che non ti appartiene, tutto quello che non ti fa stare bene.
Sei venuto a Sanremo e fai parte del filone di indipendenti o, come dicono i tuoi amici The Zen Circus, quelli delle canzoni autodeterminate. Tu perché sei venuto proprio a questo Sanremo?
Perché avevo questa canzone qua, non ci sarei andato con nessun’altra delle canzoni che ho fatto. Questa canzone è diversa, penso che racchiuda un messaggio forte che volevo urlare a quante più persone possibili. Non che nelle altre canzoni questo non ci sia ma è la prima volta che mi sono davvero staccato da me stesso per vedere cosa c’era fuori.
Infatti non hai un album in uscita e da qui si capisce proprio l’esigenza di avere questa cosa da dire e volerla dire a tutti.
Assolutamente sì. Il repack (e non voglio giudicare chi fa i repack) per me non aveva senso perché c’è un motivo preciso per il quale ci sono quelle nove canzoni in Vivere o Morire. Non dovevano essercene né di più né di meno. Non avrei saputo dove mettere Dov’è l’Italia perché avrei dovuto fare un’altra scaletta e perché, probabilmente, avrei dovuto cambiare anche i testi delle altre canzoni. E magari doveva esserci anche un’altra copertina e a quel punto avrebbero dovuto rivotare pure per il Premio Tenco. Quindi abbiamo fatto un 45 giri e sono felice così.
Ti hanno criticato per questa scelta di venire a Sanremo?
Devo dire di no, perché fortunatamente ho un pubblico educato. Alcuni sì, ovviamente, ma non quanto altri. I fan di base sono gelosi e dicono: “Ma tu chi sei? Sei arrivato ora”. Ma lo prendo comunque come un atto d’amore verso il proprio artista.
È che tu quest’anno hai dimostrato il contrario di quello che qualcuno pensa ossia che un artista va a Sanremo perché non ha niente di importante da dire oppure per rinascere dopo un periodo di stop. E allora sceglie Sanremo.
E io invece avevo l’urgenza di venire qua a cantare queste cose, questa canzone.
Me ne parli un po’?
Dov’è l’Italia nasce a Lampedusa da una chiacchierata che ho fatto con Enzo, un marinaio, che mi ha raccontato una storia che non vi dirò mai. O forse un giorno sì. Di solito io al ritornello ci arrivo in maniera temporale, quindi inizio a scrivere i versi e poi viene il ritornello. Invece per questa canzone è partita prima la frase “Dov’è l’Italia amore mio? Mi sono perso” e poi da lì tutta la canzone. Ed è stato difficilissimo. All’inizio la prima parte era in seconda persona poi l’ho rimessa in prima e poi di nuovo in seconda ma poi alla fine l’ho tenuta in prima persona, anche perché volevo assumermi le responsabilità di quello che dicevo.
Dov’è l’Italia parla di amore, parla di ricordarsi che certe persone fanno dei viaggi assurdi e devono riuscire ad arrivare dove vogliono andare. E poi queste persone potrebbero essere innamorate. La gente non pensa che queste persone un giorno sono state innamorate. E da lì viene la frase “Con la faccia stravolta di chi non ricorda cos’era l’amore”. Quindi non so quanto c’è di politico in tutto questo, sicuramente c’è il sociale.
E queste persone, secondo te, sono state mai felici nella vita?
Io penso e spero di sì. Ho fatto un tour a ottobre con delle ragazze (Les Filles des Illighadad, nda) che vengono dal Niger che è uno dei dieci paesi più poveri al mondo. A un certo punto il mio chitarrista ha chiesto loro: “Ma voi non avete l’ansia di salire sul palco con tutta quella gente?”. Loro hanno risposto: “Noi non sappiamo cos’è l’ansia”. Quindi noi non sappiamo bene cos’è la felicità ma alcune persone forse la conoscono meglio di noi.
Tu però nei hai parlato spesso in Del tempo che passa la felicità e in Ed è un po’ come essere felici. Per te cos’è la felicità?
È muoversi, è essere attratti da quello che non hai, essere attratti dal diverso, quando sei attratto dal diverso non hai paura di metterti in gioco, non hai paura di cambiare idea. E allora ti muovi e il fatto di muoverti, possibilmente bene, credo sia un modo per essere felici.