Video Intervista – RACHELE BASTREGHI “Psychodonna” è la mia libertà dell’essere
Cantante, compositrice, musicista ed anima femminile dei Baustelle, Rachele Bastreghi pubblica “Psychodonna” il suo primo e vero album d’esordio da solista.
Psychodonna è un diario personale, privato, portato alla luce del sole dopo un lavoro casalingo di due anni originato da lunghe notti di veglia, introspezione e scrittura. Nove tracce, di cui otto interamente scritte dall’autrice, che fuggono dalla comfort zone e della necessità di smettere di proteggersi per mettersi in gioco e trovare la propria voce piena e farla dunque uscire in prima persona.
È il mio viaggio fatto di fuori orario, di luna e isolamento, di poesia e distorsione, di albe illuminate e risvegli caotici. È un canto necessariamente libero, fatto di controsensi, di amore e sgomento, di dolcezza e nervi. È un ballo consapevole nel fango.”
Scritto e lavorato nel corso degli ultimi due anni e coprodotto dalla stessa Rachele insieme a Mario Conte, l’album uscirà in digitale, in formato cd ed LP in una prima tiratura ad edizione limitata, con vinile trasparente e il manifesto THE PSYCHODONNA FAMILY disegnato dalla stessa Rachele.
LA VIDEOINTERVISTA
IL DISCO TRACCIA PER TRACCIA
Partendo dalla stanza tutta per sé di cui ogni donna ha bisogno per scrivere, la stanza così ben descritta da Virginia Woolf, Rachele ci mostra una grande fotografia, un quadro, un’immagine completa composta essa stessa da fotografie scattate ai dettagli che partecipano – proprio come nei grandi quadri-polaroid di David Hockney – alla definizione del quadro finale.
Sì, perché Psychodonna è un concept album sulla lotta interiore, sulla ricerca spudorata di pace, di equilibrio, sull’accettarsi e sull’avere il coraggio di essere sé stessi, liberandosi e uscendo allo scoperto: è un’esplorazione di sé, la versione riveduta e corretta dall’autrice della saison en enfer di Arthur Rimbaud.
A diario aperto e con i suoni di una vita, Rachele Bastreghi mette allora in scena un pastiche di tutte le possibilità, con una particolare attenzione alle sfaccettature infinite dell’essere umano donna: multiforme, ricco, complesso e psycho, appunto, dove però le voci e le personalità non si alternano come nel Norman Bates del capolavoro hitchcockiano ma rappresentano i diversi gradi di possibilità e di coesistenza di queste tante differenti versioni di sé, che convivono tutte insieme in un mondo al maschile.
A cavallo tra electropop, electroclash e classicità, Psychodonna è anche musicalmente multiforme: è ballo sfrenato e ballata, sfogo gridato e dramma interiore, Michael Jackson e Jim Morrison che camminano fianco a fianco. Maniacalmente attenta ai dettagli, Rachele sperimenta con le possibilità sonore del Yamaha Disklavier e gioca con una rilettura in chiave moderna del contrappunto barocco, alterna felicemente il sound di synth, clavicembali e pianoforti che, ispirandosi agli intrecci di J.S. Bach, ma specialmente al lavoro di Wendy Carlos e Laurie Anderson, si muovono tra scritture parallele a più mani e arpeggi ossessivi. Insieme a lei, nella stanza delle ispirazioni, ci sono Sebastian Tellier, Ennio Morricone, Serge & Charlotte Gainsbourg, il Franco Battiato di Fetus e Click ma soprattutto la loro lezione di sperimentazione senza confini e senza regole.
Come il risultato creato da una bambina messa di fronte a tavolozza e colori, Psychodonna è il frutto di un divertimento emozionante, giocoso, primitivo e, appunto, quasi infantile. Un gioco completamente nelle mani dell’autrice che ne ha curato ogni particolare, fino a firmarne la coproduzione insieme a Mario Conte (già con Meg, Colapesce, Alfio Antico etc.).
Un ballo nel fango, lo chiama lei, un “dramma in discoteca”, a cui hanno partecipato musicisti e ospiti d’eccezionale talento: dai musicisti che la accompagnano di traccia in traccia, come Lorenzo Urciullo “Colapesce”, Fabio Rondanini, Marco Carusino e Roberto Dellera, fino alle presenze d’eccezione tutte al femminile che prestano le proprie voci e vanno a comporre la grande Psychodonna: Meg, Silvia Calderoni e Chiara Mastroianni, fino a quella della poetessa Anne Sexton – richiamata dalla voce magica in chiusura – e al pensiero fantasma rivolto a Sylvia Plath, Alda Merini e Antonia Pozzi.
POI MI TIRO SU
Un pezzo sugli stati depressivi che fotografa il complesso gioco di cedimenti e riprese, le fasi di up and down e lo fa dalla prospettiva di chi ha raggiunto la consapevolezza e sa comunque trovare momenti di bellezza per “tirarsi su”: vedere film, ascoltare una bella canzone, osservare il mondo dalla finestra. Vedersi stesa e pensare ch
e il cammino sia vacuo, inutile, un niente, ma sapere che poi, in fondo, “niente non è”.
LEI
“Lei sono io”, dice Rachele, “io nel mio mondo solitario, notturno, in cui tutto è possibile, in cui ci si spoglia delle paure e si sogna, si può pensare che tutto si possa dimenticare e si prova un senso di pace, di sollievo”. Il brano è un autoritratto, un selfie, un autoscatto dove si sonda il gioco bello e atroce dell’aprirsi facendo i conti con la realtà dopo aver rimandato a lungo quel momento cruciale.
NOT FOR ME
Una danza, perché dopo il dolore, lo struggimento, l’esplorazione, arriva il momento di alzarsi e ballare. Un inno sintetico al disordine con il pensiero che corre a Michael Jackson. L’importanza di essere presenti a sé stessi: “ci sono tante cose che non fanno per me, che sono trappole, dipendenze. Qui c’è l’affermazione di chi sa di non essere ordinaria, di non essere nell’ordine delle cose e che non vuole, per questo, doversi più nascondere. La voce della parte in inglese, in modalità robot, è della mia amica Gloria Navone”.
COME HARRY STANTON
Un pezzo straordinario che sintetizza in sé tutto il nucleo del disco, racconta l’autrice: “Pensavo a Lucky, l’ultimo film che ha fatto Harry Stanton, pensavo alla ricerca di sé, che nel mio caso ha bisogno di una chiusura nel mio mondo sonoro. Mi piacciono sempre i contrasti: cerco il silenzio per fare casino, per stupirmi.” Sentiamo una eco fortissima di Ennio Morricone in compagnia dei Cantori Moderni di Alessandro Alessandroni: il coro qui si prende tutto, ed è metafora di quello che fa Rachele, ora a voce piena, solista, che esce dal coro, cammina nel deserto di sé come Stanton e dal suo isolamento rinasce, fiorisce. Se da una parte appare il Morricone più psichedelico, quello di Vergogna Schifosi che emerge in modo intensissimo dalla filastrocca-ninna nanna dei versi: “E viaggiano sempre, nel cuore di Marte / I canti di culla, di sere e poi nulla”, dall’altra proprio in questi versi sentiamo riaffiorare un immaginario pascoliano dove la culla, la dolcezza, l’infanzia sono luoghi e temi deputati per eccellenza alla rinascita.
PENELOPE
“Penelope agisce alla luce del sole, tesse di giorno, io lo faccio di notte, nel caos, nel buio”. Immaginiamo allora Penelope, che nell’Odissea è l’idea dell’attesa, della casa, del ritorno, intenta a immaginare i mondi esplorati da Ulisse, vagheggiare il viaggio dalla propria casa.
Allo stesso modo fa qui Rachele, che di notte si concede il momento in cui vagheggiare il viaggio della liberazione da ansie e armature, quelle che provano i respiri tesi e i sospiri che ascoltiamo all’inizio del brano. Il pezzo vede la presenza vocale straordinaria di Silvia Calderoni, attrice di cinema e teatro, performer e danzatrice che ha lavorato sul corpo aprendo l’immaginario delle riflessioni pubbliche sull’arte e sull’identità.
DUE RAGAZZE A ROMA
La genesi di una storia d’amore, un pezzo profondamente cinematografico con la partecipazione di Meg che scrive e canta un frammento della canzone e, insieme a quella della cantante e autrice napoletana, la speciale presenza di un’altra figura quasi magica per il ruolo che ha all’interno del pezzo: “volevo un finale cinematografico”, racconta Rachele “così ho pensato subito a Chiara Mastroianni, lei canta la parte vocale bassa, io quella alta”, i riferimenti al mondo francese, però, non finiscono qui: il pezzo fa subito pensare a un immaginario che arriva fino a Ètienne Daho e alla sua “Week-end à Rome” anche se lo scenario e il sound qui restano più dark, quasi horror.
PSYCHODONNA
Un collage di voci, di mondi, di registrazioni che vanno a comporre, alla fine, una voce unica che si sdoppia e di nuovo si divide, fino a rappresentare un albero di molti rami che va a rappresentare le voci di molte donne. Le voci da documentario incontrano quella dell’autrice, in un pezzo che è un esperimento. “È nato come un pezzo strumentale ma poi ho deciso di metterci un testo, doveva essere una canzone con voci aliene, le voci delle donne ognuna nella propria stanza tutta per sé, voci che vogliono fare la rivoluzione, che esprimono la necessità di un esame di coscienza, voci in grado di offrire un suono al grido femminile”. La Psychodonna è la donna che tenta di tenere insieme i pezzi, di tenere insieme pianeti opposti, dove convivono la timidezza da una parte e la violenza dall’altra.
FATELO CON ME
Una versione à la Suicide di un brano di Anna Oxa tratto dal suo primo disco, Oxanna, del 1978, e scritto da Ivano Fossati. “L’ho riascoltato dopo tanti anni e mi sono accorta che era davvero pazzesco, ho sentito immediatamente che quella musica, quelle parole e soprattutto quel modo di cantare sgarbato, liberatorio, erano qualcosa di perfettamente integrato in questo mio disco; poi mi piace che sia roba incisa quando lei aveva 18 anni, agli inizi: mi sono sentita rappresentata e ho visto, al contempo, il coraggio che non ho avuto e che sto tirando fuori ora.”
RESISTENZE
L’ultimo brano del disco si apre con i versi di una poesia di Anne Sexton: “ho scelto di utilizzarla perché in primo luogo mi aveva affascinato tantissimo il suo suono, perché ha un bel ritmo. Mi piace il modo in cui lei conia l’immagine di donna strega, lei che esce nella notte, lei che si ribella, lei che si isola. Mi hanno mandato un suo ritratto fatto da Joanna Rusinek perché in quel ritratto le somiglio molto, poi ho anche scoperto che aveva formato un gruppo soft-rock che musicava le sue poesie e tutto magicamente mi è tornato”. Un brano sul sentirsi sfiniti, asciutti, sull’abbandonarsi al dolore, sul lasciarsi andare: se l’apertura con i versi di Anne Sexton è sorprendente, il finale è struggente. In questo sfinimento, la carica emotiva è fortissima e si cristallizza in una sorta di ritorno finale alle cose più importanti, sicure, care: alle figure della madre e del padre.
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Photo: Elisabetta Claudio