VINICIO CAPOSSELA: “Ballate per uomini e bestie” tra poesia, filosofia e denunzia
Un cantico per tutte le creature, per la molteplicità, per la frattura tra le specie e tra uomo e natura. Poesia, filosofia e denunzia! Così Vinicio Capossela presenta alla stampa, nella splendida cornice della Chiesa di San Carlo al Lazzaretto di Milano, il suo nuovo disco “BALLATE PER UOMINI E BESTIE”.
Vinicio è un visionario, un futurista, un indovino, un poeta. Un conoscitore della decadenza del nostro tempo e un denunciatore della stessa.
Un cantastorie neo-medioevale che attraverso le sue ballate racconta il mondo e ne denuncia la sua pestilenza intellettiva e sociale.
Un disco oscuro, medioevale, denso di orizzonti, riflessivo, un disco per fare pensare, per andare in profondità rispetto alla superficialità dei nostri giorni.
La pesta oggi è una pestilenza morale e sociale. I social e la rete sono degli strumenti di diffusione non sono la stessa malattia. La peste è attuale: crea diffidenza, negazione, odio, luoghi comuni, divisione, indifferenza.
Da tempo ho rinunciato di fare canzoni orecchiabili, da facile ascolto. Cerco di scrivere canzoni che mi arricchisce e faccia arricchire. Materiale fertile e spero che ognuno dedichi il suo tempo necessario per ascoltare il mio disco.
Io personalmente non sono un credente ma sono molto affascinato dalla ritualità. Il sacro è un po’ un punto di accesso alla natura. Questo è un disco religioso che parla di peccato, di umiltà, di devozione, di sofferenza. Mi trovo spesso ad attingere alle immagini religiose, alle storie di Santi sono immagini forti, universali, senza tempo.
Ecco come racconta e introduce il disco:
In tempo di peste, come nel Decamerone, ci si rifugia nel racconto, non prima di avere esposto la propria denunzia. Una pestilenza infuria in questo momento della storia: una pestilenza morale, etica, di linguaggio. Corre nella rete, nuovo pneuma che trasmette pulsioni antiche.
Nella pestilenza si diffondono più velocemente la tendenza verso il basso, la corruzione del linguaggio, la violenza, la pornografia in luogo del desiderio. Siamo entrati in una nuova fase della rivoluzione tecnologica nella quale si iniziano a misurare le conseguenze della Produzione.Negli ultimi cento anni il pianeta ha subìto un’accelerazione che cancella la storia precedente.
Un cambiamento strutturale che sia avvia all’irreversibilità. Il senso del sacro, di manifestazione del sacro nella natura, è scomparso. La religione si è fatta presupposto di conflitto.
Gli studiosi definiscono questa era Antropocene, a sottolineare quanto l’uomo abbia modificato la sostanza stessa del pianeta e dei suoi abitanti.
Nell’infuriare della peste, nel racconto, nel canto, diventa necessario ricomporre l’unità per cercare un nuovo rapporto con la natura delle cose.
Con il sacro e con le bestie, creature viventi con cui dividiamo la vita sulla terra. La relazione con l’animale è passata dalla ierofania delle grotte di Lascaux, al bestiario medievale, nel quale la natura assumeva la forma del libro e la realtà era vista come simbolo, fino ad arrivare oggi ad un rapporto con le bestie che, per quanto molto più dibattuto e consapevole che in passato, spesso si consuma principalmente nel piatto. Oppure è culturalmente mediato da peluches, fiabe e cartoni animati.
La bestia però r-esiste, soprattutto nell’inconscio. Sogniamo animali più di quanto non li incontriamo. In un sonno che ci riporta all’inizio del mondo, a un grembo comune fatto di oscurità profonda e densissima.A quel buio primigenio è seguita una separazione, l’attraversamento di un limite non reversibile. Siamo confinati nella rigidità della forma umana alla quale ci relegano milioni di anni di evoluzione.
In questo medioevo altro e tecnologicamente evoluto, fatto di nuove crociate, rinnovate guerre di religione, oscurantismo, lavoro industriale sulla paura, diffusione virale di pestilenze, dietro di noi, a volte a fianco, o inconsciamente partecipi, stanno gli animali, le bestie come irrisolto punto di accesso al mistero della natura, anche umana.
Questo il tema. Nello svolgimento una questione di forma: la ballata, come occasione di pratica metrica e di svincolamento dalla sintesi.Nella ballata non è obbligatorio essere brevi. Dai primi trovatori la ballata prende il caos delle parole in libertà, l’esperienza liquida del divenire, la riduce a storia e la compone nel fluire di strofe. Prendono parte al ballo, nella parte di infiltrati, autori di grandi ballate, voci amate come quelle di Oscar Wilde, John Keats e Francesco d’Assisi, insieme al genio di un erudito duecentesco, Richart de Fornival, autore di un meraviglioso Bestiario d’amore, che oltre ad educarci e spiegarci la complessità e i meccanismi naturali della seduzione amorosa, ci ricorda che tutto sommato, con le parole di Robert Mcliam Wilson, tutte le storie sono storie d’amore. Pure l’assurda, distruttiva e sanguinosa storia dell’umanità.
Vinicio Capossela
Ecco la track list raccontata da Vinicio traccia per traccia.
1. URO
Cominciamo dall’inizio: dalla grotta di Lescaux, dove Picasso ha potuto affermare “ho trovato infine il mio maestro” e il maestro è l’uomo nel suo primo atto di affrancamento dalla legge della sopravvivenza. L’uomo che inventa il gioco e l’arte e raffigura animali, tra i quali si dipinge piccolo e nascosto a sua volta in una testa di animale. Fin dall’inizio l’accesso al sacro, al mistero, ha per l’uomo il volto dell’animale. Il loro enigma è tutto quanto è stato perduto e precluso alla eretta condizione umana, che consente di sollevare lo sguardo al cielo. Percepire il più vasto da sé, la meraviglia, il meravigliarsi e quindi l’interrogarsi sulle cose. In principio fu la Meraviglia, e le grotte di Lascaux ne restituiscono intatto il senso: l’alba, la
prima luce d’umanità che può farci dire “sono vecchio di diciassettemila e 47 anni”, come fossero quei dipinti spruzzati da un osso sul muro il primo momento nel quale possiamo dire di essere venuti al mondo come uomini.
2. IL POVERO CRISTO
Cristo non è riuscito ad insegnare agli uomini a salvarsi con il precetto più semplice che è quello in cui è racchiusa tutta la buona novella, il lieto annunzio: “ama il prossimo tuo come te
stesso”. Un precetto semplice, ma impossibile per l’uomo. Per questo Cristo si è fatto povero ed è finito povero Cristo. E ora tace mentre l’uomo grida a più non posso.
3. LA PESTE
E da quell’osso lanciato nel futuro eccoci nella più virulenta contemporaneità, nella rete del tweet, del virus, dell’influencer. Il pneuma più innovativo, rivoluzionario, lindo, algido, fatto di silicio e cristalli liquidi, aere di propagazione efficacissimo, istantaneo e capillare di nuove pestilenze, mosse da bacilli innati, pulsioni antiche. Pestilenza, capro espiatorio, untori, guerre di religione, sgozzamenti, stragi, il post medioevo viaggia in rete. Let’s tweet again … balliamoci sopra … La peste, come diceva Artaud, rade tutto al suolo, rende tutti uguali.
L’illusione di essere tutti unici mentre si è più omologati che mai.
4. DANZA MACABRA
La paura, la paralisi provocata dalla paura è da sempre uno degli strumenti più utilizzati da chi esercita il potere. La gente impaurita più facilmente rinuncia a diritti a partire dal diritto di pensare. E la paura più grande è stata e resta la Morte, il solo tabù tuttora vigente nel mondo occidentale. Nel medioevo è stato un fiorire di danze macabre, scheletri che danzano
ammonendo hodie mihi cras tibi, oggi a me domani a te. Un memento mori che però porta con sé anche irrisione e liberazione nel Trionfo della Morte, la sola cosa uguale per tutti.
5. IL TESTAMENTO DEL PORCO
E a morte in sacrificio arriva, dopo una vita d’ingrasso, la creatura più prossima all’uomo, tanto negli organi interni, quanto nei nomi e negli aggettivi che più di ogni altro animale sono entrati nel nostro lessico: il porco maiale. Che spesso ha due differenti nomi a seconda che lo si intenda da vivo o da morto. Creatura vivente o prodotto alimentare. Sul maiale si è retta la civiltà della terra prima che l’industria alimentare lo allontanasse dalle nostre vite riducendolo a prosciutto o a cartone animato.
Il porco, che non riesce a vedere le stelle, ma ben grufola a terra, fa testamento. Ed è il testamento dell’uomo che ha voluto vivere con tutto il suo corpo che è appunto anagramma di
porco.
6. BALLATA DEL CARCERE DI READING
“La mia ballata soffre delle difficoltà di un duplice obbiettivo stilistico: in parte è realistica, in parte romantica, in parte poesia, in parte propaganda.” Così diceva del suo ultimo
componimento Oscar Wilde. E aggiungeva: “Cristo non è morto per salvare la gente, ma per insegnare alla gente a salvarsi a vicenda.” E in effetti la sua Ballata è non solo uno dei più
lucidi atti di denuncia del sistema carcerario e soprattutto della pena di morte, ma anche del tradimento della pietà e dell’insegnamento di Cristo. Wilde, il più straordinario esteta, cultore della bellezza e dell’artificio scopre nella caduta il sentimento della com-passione e lo restituisce in questa ballata, che senza quella caduta non avrebbe mai scritto. E’ il suo ultimo canto, il grido di Marsia più che il canto di Apollo. Il grido levato in un mondo che, come la bella dama, è senza Pietà.
7. NUOVE TENTAZIONI DI SANT’ANTONIO
Un aggiornamento nel mondo contemporaneo delle tentazioni del celebre Abate che, come Prometeo, si calò all’inferno per rubare il fuoco e portarlo agli uomini in scintilla di ragione.
Sant’Antonio Abate va nel deserto, si nutre di radici cercando Dio. Celebri sono le sue Tentazioni, che, tra i molti, hanno ispirato Bosch nel suo magnifico trittico. Molti demoni gli
compaiono davanti. E’ accompagnato da un porcellino, forse a simbolo della tentazione della carne. Nella sua notte, il 17 gennaio, si accendono fuochi per risvegliare la terra e fanno la
prima uscita dell’anno maschere zoomorfe; Krampus, Merdules, Wilder Mann, come creature infere che emergono dalla terra battendo ossa e campanacci. In quella notte nel mondo
contadino si benedicevano le stalle e gli animali parlavano. Ma se il male si presentasse ad Antonio oggi, con quali tentazioni lo sedurrebbe?
8. LA BELLE DAME SAN MERCI’
Inverno e foresta sono i luoghi della fiaba e dell’incantesimo. Del lupo, dei cavalieri erranti e delle fate. In una foresta, sul costone del monte ghiacciato, su un lago-specchio l’incantesimo paralizzante dell’amore che riflette la nostra immagine che non si completa. Solitudine che, liberata una volta dalla sua prigionia, rompe e perde l’unità. Si diventa per sempre solo creature dimezzate, incapaci più di muoversi, paralizzati dall’attesa di chi non torna perché non esiste.
9. PERFETTA LETIZIA
A imitazione di Cristo, Francesco si insubordina alla legge dell’accumulo, fa della povertà la più preziosa sorella e, spogliandosi di tutto, è l’unico che parla a uomini e bestie. Questo è il suo miracolo più grande: parlare con il creato, parlare con gli animali. Non ammansirli, ma parlargli. Nella semplicità della lingua dei Fioretti il chiarore di un’armonia interrotta e
impossibile. Un’armonia da cercare non nel sacrificio, non nella costrizione, non nel cilicio, ma nella Letizia… la perfetta letizia del sostenere la pena della vita con allegrezza, perché il solo nostro bene, l’unico che possiamo attribuire davvero a noi stessi, l’unico vanto, è sapersi portare la nostra croce… la pena del vivere.
10. I MUSICANTI DI BREMA
L’asino e poi il cane, il gatto e il gallo, i quattro famosi musicanti della fiaba che, destinati a morte da esaurimento nel ciclo produttivo, si uniscono per fare finalmente una cosa inutile.
Dopo tanto avere sgobbato andare a suonare a Brema e mettere insieme una banda. Se anche sei esodato, licenziato, mettiti insieme a chi è come te e forma una rock band, anzi peggio:
una banda municipale.
11. LOUP GAROU
La melanconia mannara assale il licantropo melancolico, non nelle notti di luna piena, ma nei giorni del rito elettorale quando il paese si denuda. Lì un desiderio vivo lo assale, un desiderio di carne cruda. Il desiderio vivo di tornare alla ferinità, alle corse di notte, a sbranare ricordi e condizione sociale … lasciare il reale ed entrare nel vero… lasciare a terra i vestiti della realtà e vestirsi di quello che è dentro, la verità interiore dell’essere. Il versopelo è l’animale che si può scoprire soltanto amputandogli gli arti, con la disamina scientifica dell’autopsia. La corsa per infrangere il limite tra uomo e animale, tra vivi e morti, tra realtà e Verità, è destinata a concludersi con l’amputazione, in nome della norma.
12. LA GIRAFFA DI IMOLA
La vicenda realmente accaduta di una giovane giraffa che una volta scappata dal circo non ha più nessun posto possibile.Un’altra corsa simile nell’esito, una corsa che reclama la bellezza, una bellezza impossibile e manifesta in questa creatura fonte di meraviglia, l’apparizione di una giraffa ancora a inizio 800 viene ricordata come l’evento più eclatante del regno di Carlo X. E un’altra volta la violenza del mondo antropizzato e organizzato nelle sue macchine e lamiere, nel suo asfalto e cemento. La corsa di questa giovane giraffa per le strade di Imola, esprime tutta la impossibilità della coesistenza, il patto rotto con la natura, l’infanzia del mondo che urta con gli oggetti del nostro vivere quotidiano associato. Che improvvisamente si mettono a nudo in tutta la loro durezza e esclusione…Sempre questi stranieri senza permesso … e nemmeno la giraffa ce l’ha il permesso di circolar.. Come una grande gabbia da dove non è possibile uscire se non da morti. Una morte da sedativo, non da fucile da caccia. In quella corsa della giraffa, facilmente rintracciabile in rete, tutti i recinti e i fili spinati e il mare-sepolcro che circondano la “fortezza Occidentale”.
13. DI CITTA’ IN CITTA’ ( e porta l’ORSO)
Un viaggio d’inverno. L’occasione non presa. L’amore non colto e l’esilio a vita, nella vita. Se non si ha un posto dove stare si parte, esiliati dagli uomini in una natura il cui re, l’orso, si è fatto buffone. Invece di una pena girare di città in città portando l’Orso ammaestrato dagli orsanti con l’anello al naso e le piastre incandescenti sotto i piedi, che balla con la capra in pizzo e calzette. Un viaggio d’inverno del senza patria, il solitario del winter reise… il viaggio nell’inverno stagione della solitudine e del ricordo.
14. LA LUMACA
Sacralità della lentezza. Bisogna farsi piccoli per accorgersi dell’altro, fare spazio per percepire il mondo. Più il nostro ego ingombra più il mondo rimpicciolisce fino a sparire. La lumaca, che in sé riassume il mistero del minuscolo così come del gigantesco, questa creatura umile che ha posto la materia dura all’esterno, per difendersi, ma anche per alloggiare nel mondo. Materia disposta a spirale. La forma di un guscio di lumaca è la stessa di una galassia… la sua lentezza è cosmica… aderente a terra, in armonia col cielo…Il suo insegnamento è quello del passare, in opposizione al restare. Sul restare si fonda l’accumulo, sul passare l’esistere. Umile, c’è spazio per tutti … la sacralità senza dogma della lumaca, della sua lentezza, del cosmo riprodotto nella sua forma è la sacralità immanente del mondo che queste ballate per uomini e bestie vorrebbero celebrare.
Il videoclip che accompagna il singolo, scritto da Vinicio Capossela e Miriam Rizzo per la regia di Daniele Ciprì che firma anche la fotografia. Lo produce Groenlandia con il sostegno della Calabria film Commission. Gli interpreti del video sono Enrique Irazoqui, il celebre Gesù de “Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini, e Marcello Fonte, palma d’oro a Cannes nel 2018 per Dogman. Il ruolo femminile è affidato a Rossella Brescia.